Il 1908, anno delle Olimpiadi di Londra, risuona ancora oggi nelle parole di un uomo che ha saputo cogliere l’essenza più pura dello spirito sportivo. “L’importante non è vincere, ma partecipare”, diceva Pierre de Coubertin, padre dei Giochi Olimpici moderni, in un’epoca in cui lo sport era ancora un’idea in evoluzione. Oggi, a distanza di oltre un secolo, questa frase non è una reliquia del passato, ma un faro che continua a illuminare il presente. Sembra che oggi tutto passi dal concetto della vittoria, del successo a ogni costo in cui la pressione per primeggiare è palpabile nello sport, ma anche in ogni ambito della vita. Ed è proprio in questo contesto che il monito di de Coubertin acquista un’attualità straordinaria. Partecipare non è sinonimo di fallire, ma di esistere. Significa scendere in campo, mettersi in gioco, accettare la sfida con sé stessi e con gli altri, una sfida che va oltre il risultato finale. Lo sport, nella sua accezione più nobile, non è un semplice confronto muscolare o una gara di abilità. È un’esperienza che ci forma, un’opportunità di crescita che supera i confini del campo o della palestra. È un laboratorio di vita, dove si imparano valori utili ad affrontare le sfide di tutti i giorni. Il rispetto per l’avversario, la disciplina, la capacità di rialzarsi dopo una sconfitta, l’importanza del lavoro di squadra: sono tutte lezioni che lo sport ci offre e che ci rendono persone migliori. Perché come ha detto anche il campione olimpico, Massimiliano Rosolino, in una intervista che trovate in questo numero: l’importante è essere vincenti. Chi fa sport, sa fare gioco di squadra, non c’è dubbio. Lo sport è capace di superare barriere che sembrano invalicabili. Non importa la provenienza, la cultura, la religione o lo stato sociale: quando si indossa una maglia e si scende in campo, si è tutti uguali. Non esistono differenze. E forse è anche questa la vera magia dello sport: la capacità di creare ponti tra le persone, di trasformare l’estraneo in compagno e il campo da gioco in un luogo di incontro e perché no? di bellezza. In un’epoca di profonde divisioni e individualismo, lo sport può rappresentare un antidoto potente. È un modo per riconnettersi con gli altri, per riscoprire il senso di appartenenza a una comunità e le Olimpiadi 50&Più che abbiamo disputato il mese scorso a Castellaneta Marina, con una partecipazione di oltre 700 persone, lo dimostrano bene. Dalle partite tra amici al campetto sotto casa, alle folle che si riversano negli stadi per tifare la propria squadra del cuore, lo sport è un rito collettivo che celebra la nostra umanità e il nostro bisogno di condividere emozioni. È un’opportunità per le generazioni di legarsi, con padri e figli che condividono la stessa passione, le stesse gioie e le stesse delusioni, creando un filo invisibile che li unisce per sempre. E tutto questo riflette anche il desiderio di prendersi cura di sé, di mantenere vivo il proprio corpo e la propria mente. Fare sport, a qualsiasi livello, è un atto di responsabilità verso noi stessi. È un investimento nel nostro benessere fisico e mentale, un modo per sfogare lo stress, per superare i limiti e per sentirsi vivi. La consapevolezza che ne deriva non si ferma al nostro corpo, ma si estende alla nostra mente, rendendoci più forti e preparati ad affrontare le sfide che la vita ci riserva. “L’importante non è vincere, ma partecipare”, quindi, non è solo una frase, ma una filosofia di vita. È l’invito a non avere paura di scendere in campo, a non nascondersi, a non fuggire dalle sfide. È il promemoria che la vera vittoria non sta nel sollevare un trofeo, ma nel coraggio di provarci. È questa la vera magia dello sport.
© Riproduzione riservata