Dal 2017 a oggi, il Manifesto è stato adottato da 50 aziende e sottoscritto da oltre 500 sindaci. Rosy Russo, fondatrice dell’Associazione: «La cittadinanza digitale dovrebbe essere tra le materie insegnate nelle scuole»
“Virtuale è reale”. “Le parole sono un ponte”. “Condividere è una responsabilità”.
Sono alcuni dei dieci principi contenuti nel Manifesto della Comunicazione Non Ostile che l’associazione Parole O_Stili, si impegna a divulgare ogni giorno sui social e nelle scuole, nei luoghi di lavoro e nelle pubbliche amministrazioni. Un progetto sociale di sensibilizzazione a un sano utilizzo delle parole che, con semplici regole, in otto anni è stato adottato da più di 50 aziende e sottoscritto da oltre 500 sindaci, con l’impegno di divulgarlo, raggiungendo decine di migliaia di persone di ogni età che popolano la comunità virtuale e quella reale.
Un tam-tam, online e non solo, nato da un’esperienza di condivisione positiva. Come racconta Rosy Russo, con un passato professionale in un’agenzia di comunicazione, presidente e fondatrice di Parole O_Stili.
Come nasce l’idea del progetto Parole O_Stili?
Otto anni fa, mi sono accorta che il tema della violenza online cominciava ad essere importante. Io stessa ero stata attaccata sui social. Forte di una bella esperienza di community online che stavo facendo su un altro progetto, ho mandato una mail a 70 persone con cui stavo lavorando, chiedendo: “Solo io sto facendo fatica sui social?”. Ho ricevuto tantissime risposte: tutti condividevano questa fatica. Da lì è nata l’idea di fare qualcosa insieme. Successivamente, ho inviato a ognuno una domanda, dove chiedevo quali fossero i vantaggi della rete da preservare. Dalle risposte sono nati dei principi, che abbiamo messo in rete. Quei primi principi vennero condivisi, di bacheca in bacheca. Abbiamo capito così quanto questo fosse un tema caldo per le persone. Dalla sintesi di quei principi è nato il manifesto di Parole O_Stili, nel febbraio 2017. Quell’esigenza iniziale di un gruppo di persone si è allargata, diventando una bella – dico io – esperienza di cittadinanza digitale. Così è nato un viaggio che tuttora stiamo vivendo.
Un progetto che si rivolge anche ai giovani. I dati dicono che le nuove generazioni sono iperconnesse. Eppure spesso faticano a comunicare tra loro. Cosa serve per avviare un vero cambiamento?
È un po’ la mission di Parole O_Stili: noi lavoriamo sul tema della consapevolezza, cioè sapere dove sei e cosa stai abitando. Stare sui social non è più utilizzare uno strumento, ma è abitare una cultura. Cultura dal latino significa coltivare, io coltivo relazioni, conoscenze stando in rete. Dobbiamo essere consapevoli che stiamo abitando una cultura. Vivere una rete richiede educazione e cultura. Dobbiamo essere coscienti che le nostre relazioni sono fondamentali, e che tutto questo incide sulla nostra vita e sulla vita degli altri, sugli ambienti e le comunità che frequentiamo. Con il Manifesto è nato anche un bel progetto per le scuole: 400 attività gratuite che gli insegnanti possono scaricare dal sito ancheioinsegno.it, destinato a studenti dai 3 ai 19 anni. Inoltre, da anni diciamo che dovrebbe esserci un’ora di cittadinanza digitale a partire dalla prima elementare, che per i piccoli è un tema legato all’esprimere le proprie emozioni, la propria affettività.
Temi fondamentali, alla luce anche dei casi di violenza che si verificano a scuola. Che ruolo hanno gli adulti nella relazione con i giovani, in questo momento?
Incontrando con le nostre attività le nuove generazioni, abbiamo dei feedback importanti: i giovani ci stanno dicendo che sono soli. Il mondo degli adulti è lontano, non fanno parte della loro vita. Solo il 15% degli adulti è capace di dialogare sui temi del digitale, gli altri non si interessano. C’è un grande gap tra virtuale e reale: per i giovani è un’unica bolla, per noi adulti sono ancora due bolle diverse. È difficilissimo seguirli in rete, è vero. Ma dobbiamo dire ai genitori “fate quella fatica”, perché il modo di amare i figli è questo adesso. Non è possibile essere incuranti di ciò che i giovani fanno per 7-8 ore al giorno online. Serve poi l’esempio: come usiamo noi la tecnologia? Credo nella responsabilità enorme dei genitori, e della famiglia, nei confronti di queste generazioni.
“Rispetto” è stata la parola dell’anno 2024, che è già presente nel vostro Manifesto. Quale parola suggerirebbe per ispirare un sano cambiamento nel 2025?
Al nostro Festival abbiamo messo a lavorare insieme 400 persone, 200 under 30 e 200 over 30, per trovare una parola nuova che raccontasse quell’esperienza positiva, accogliente che è essere community. La parola finale è stata Netily, somma di Network e Family, quella famiglia cioè che ti scegli, fatta di amici, colleghi, vicini di casa, che può coincidere anche con la famiglia biologica, che rappresenta una piccola grande comunità a supporto della propria vita, dove sentirci amati, accolti. Suggerirei proprio Netily, con l’augurio che si riesca a lavorare sempre di più perché le nostre scuole, ambienti di lavoro, e comunità di vario genere siano alimentate da relazioni autentiche. Ogni luogo che frequentiamo, online o offline, sarà tanto più accogliente quanto più le nostre relazioni saranno vere, e noi rispettosi. Entriamoci quindi nella rete, e abitiamola nel modo migliore.
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