Un team internazionale guidato da Padova e Bruxelles ha aperto la strada a nuove terapie grazie all’uso dei nanocorpi. Si tratta di frammenti di anticorpi che possono ripristinare la funzione proteica chiave dei neuroni.
Una nuova speranza per chi soffre di Parkinson. Uno studio condotto da un team di ricerca internazionale, coordinato dall’università di Padova e dal Vib-Vub Center for Structural Biology di Bruxelles, promette nuove possibili terapie per i pazienti affetti dal morbo.
Cosa sono i nanocorpi e come agiscono sul Parkinson
La ricerca pubblicata su ‘Nature Communications‘ ha individuato un particolare tipo di anticorpi in grado di migliorare la funzione di una proteina coinvolta nella malattia. Si tratta dei nanocorpi o nanobodies, frammenti di anticorpi che sarebbero capaci di ripristinare la funzione di una proteina fondamentale per i neuroni, difettosa nelle persone con Parkinson.
“Uno dei fattori che possono portare alla comparsa di questa malattia è infatti la perdita di funzione dell’enzima glucocerebrosidasi – ha spiegato ad Adnkronos Nicoletta Plotegher, docente del Dipartimento di Biologia dell’università di Padova e corresponding author dell’articolo -. Quando questo avviene le cellule cerebrali perdono a poco a poco la loro normale attività. Questi speciali anticorpi, chiamati nanobodies, potrebbero invertire questo meccanismo ristabilendo la normale attività della glucocerebrosidasi e potenzialmente il normale metabolismo cellulare”.
Quali sono i sintomi iniziali del Parkinson
Il Parkinson è la seconda malattia neurodegenerativa più comune dopo il morbo di Alzheimer ed è caratterizzata da tipici sintomi motori, come tremore, rigidità e bradicinesia. Si verificano anche sintomi non motori, come difetti gastrointestinali nelle fasi iniziali, nonché psicosi e demenza nelle fasi successive.
Circa il 10% dei casi di Parkinson è ereditario e causato da mutazioni in diversi geni, sia in modo autosomico dominante che recessivo. L’altro 90% dei casi è sporadico e può essere associato all’esposizione ambientale a tossine e pesticidi e/o a mutazioni in geni che sono fattori di rischio per la malattia, come GBA1.
La frequenza del Parkinson nella popolazione è di circa 1 su 50.000-100.000, mentre circa 10 milioni di persone in tutto il mondo sono affette da Parkinson. Il numero destinato ad aumentare nel tempo a causa del generale invecchiamento della popolazione e per l’assenza di una cura. Circa il 5-8% dei pazienti con tale patologia è portatore di una mutazione GBA1, rispetto a meno dell’1% delle persone sane.
Parkinson, le cause restano poco chiare
Le cause sono ancora poco chiare e molto probabilmente il risultato di un mix tra fattori genetici e fattori ambientali. Uno dei più importanti fattori di rischio nello sviluppo della malattia di Parkinson è il malfunzionamento di un enzima chiamato glucocerebrosidasi, responsabile per la degradazione di alcune classi di lipidi nei lisosomi delle cellule. Mutazioni nel gene che codifica per la glucocerebrosidasi destabilizzano o riducono l’attività dell’enzima, causando l’accumulo di un materiale intracellulare non digerito che ha come conseguenza un danneggiamento delle funzioni cellulari di base.
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