Il Policlinico Gemelli coordina MOVE-BRAIN-PD, programma internazionale che monitora gli effetti dell’attività fisica aerobica domiciliare su memoria e funzioni cognitive nei pazienti. L’obiettivo è trasformare lo sport in una vera terapia preventiva contro la demenza.
Un quarto dei pazienti sviluppa problemi cognitivi già all’esordio
La malattia di Parkinson non colpisce solo il movimento. Circa il 25% delle persone che ricevono la diagnosi presenta già nelle fasi iniziali un lieve deterioramento cognitivo, quello che i medici chiamano PD-MCI. E il dato diventa ancora più preoccupante se si guarda al futuro: in una parte rilevante di questi casi, il disturbo evolve negli anni verso forme di demenza più gravi. Al momento la medicina non dispone di farmaci in grado di bloccare questa progressione, ma negli ultimi anni la ricerca ha iniziato a guardare con interesse a un’arma diversa: l’attività fisica.
È proprio da questa consapevolezza che nasce MOVE-BRAIN-PD, il progetto europeo coordinato dalla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. Paolo Calabresi, direttore della Neurologia al Gemelli e ordinario di Neurologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore, guida lo studio internazionale che coinvolge anche la Transilvania University di Brasov in Romania e l’University Medical Center di Gottinga in Germania. Il programma ha inoltre ricevuto i finanziamenti dal bando ERA4Health Joint Transnational Call for Proposals 2024, in particolare dalla linea NutriBrain, il programma di ricerca dedicato allo studio di come alimentazione e stili di vita sani possano modulare l’invecchiamento del cervello.
Allenamento a casa per dodici mesi
Lo studio prevede che i pazienti con Parkinson e lieve compromissione cognitiva si sottopongano a un programma di allenamento aerobico domiciliare, monitorato da remoto. Non serve andare in palestra: l’esercizio viene svolto a casa propria, almeno due volte alla settimana per un anno intero. I ricercatori valuteranno l’efficacia di questo protocollo sulle funzioni cognitive e sui sintomi motori, ma non si limiteranno a registrare i miglioramenti clinici. Attraverso prelievi di sangue periodici, il team analizzerà anche i biomarcatori di infiammazione e neurodegenerazione, oltre alle modifiche della proteina alfa-sinucleina, quella molecola il cui accumulo tossico è strettamente legato alla malattia di Parkinson.
L’obiettivo è capire cosa accade davvero nel cervello quando ci si allena. Gli studi scientifici degli ultimi anni hanno già dimostrato che l’esercizio aerobico produce effetti significativi sulla struttura cerebrale, sul metabolismo e sulle capacità cognitive, sia nelle persone anziane sane sia in quelle affette da patologie neurodegenerative.
Alcune ricerche precedenti condotte proprio al Gemelli hanno identificato nuovi meccanismi responsabili degli effetti positivi dell’attività fisica sulla plasticità cerebrale, quella capacità del sistema nervoso di adattarsi e creare nuove connessioni anche in presenza di una malattia progressiva.
Aderenza e motivazione: il fattore umano
Uno degli aspetti più innovativi del progetto riguarda lo studio dei fattori che influenzano l’aderenza all’esercizio fisico. Non basta prescrivere un programma di allenamento: bisogna capire perché alcuni pazienti lo seguono con costanza mentre altri abbandonano dopo poche settimane. I ricercatori vogliono individuare gli ostacoli pratici, psicologici e sociali che frenano la continuità nell’attività fisica, per sviluppare programmi educazionali personalizzati che promuovano davvero stili di vita salutari nella comunità dei pazienti.
Dai laboratori alle raccomandazioni nazionali
L’idea alla base del progetto è quella di dimostrare come le persone con Parkinson possano essere parte attiva della cura. E modificare il proprio stile di vita per rallentare e mitigare i sintomi, rappresenta un passaggio fondamentale. I risultati di MOVE-BRAIN-PD serviranno per stilare raccomandazioni nazionali in dialogo con le istituzioni e le società scientifiche, mettendo in campo strategie di sensibilizzazione sul modello di quanto fatto con le malattie cardiovascolari negli ultimi decenni. In quel caso, infatti, la promozione di attività fisica regolare e alimentazione corretta ha contribuito in modo decisivo a ridurre la mortalità e migliorare la qualità di vita di milioni di persone.
MOVE-BRAIN-PD rappresenta quindi un passo concreto verso la definizione di protocolli di attività fisica mirati, sostenibili e scientificamente validati. Si vuole dimostrare come l’esercizio possa modificare la traiettoria della malattia in un contesto di vita reale, non solo nei laboratori ma nelle case dei pazienti. Se i risultati confermeranno le ipotesi, lo sport potrebbe davvero diventare una medicina a tutti gli effetti per chi convive con il Parkinson, capace di proteggere la memoria e l’autonomia cognitiva.
Credito foto: panoramadellasanita.it/
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