Antonio Russo, portavoce di Alleanza contro la povertà in Italia, spiega perché le misure di accompagnamento al lavoro sono destinate a fallire e quale impegno dovrebbero assumere le istituzioni
Il lavoro non basta a scongiurare la povertà, ma laddove il lavoro manca, è più facile che la povertà avanzi: per questo, garantire l’occupazione è fondamentale per ridurre i numeri – altissimi – della povertà assoluta nel nostro paese. Numeri che ha recentemente evidenziato Istat nel rapporto Condizioni di vita e reddito delle famiglie, pubblicato alla fine di marzo. Nel 2024, il 23,1% della popolazione italiana (circa 13,5 milioni di persone) era a rischio di povertà o esclusione sociale. Una percentuale molto alta, soprattutto se letta accanto a un altro dato, rivelato sempre da Istat: nel 2024, in Italia erano in povertà assoluta circa 5,7 milioni di persone, pari al 9,7% della popolazione residente. C’è un altro dato, che colpisce particolarmente, soprattutto a Maggio, quando ricorre la Festa del Lavoro: «Oggi, nel nostro paese, oltre 3 milioni di lavoratori sono poveri», lo mette in luce Antonio Russo, portavoce di Alleanza contro la povertà in Italia.
«Appare evidente che nel nostro paese oggi non sia sufficiente lavorare per avere una vita dignitosa – osserva -. Dobbiamo immaginare e poi mettere in campo politiche di sostegno al reddito, per restituire al lavoro la sua funzione di antidoto contro la povertà, ma soprattutto di strumento per una vita dignitosa».
Le misure di contrasto alla povertà non vanno in questa direzione?
Non sempre. Queste misure hanno finora seguito due differenti filosofie: quella che potremmo chiamare ‘lavorista’ e quella che definirei ‘familista’. Il Reddito di Cittadinanza, per esempio, apparteneva alla prima categoria: individuava, infatti, servizi e figure di accompagnamento al lavoro – i cosiddetti ‘navigator’ – per sostenere gli individui occupabili a rischio di impoverimento. Ed è proprio in questo che il Reddito di Cittadinanza ha drammaticamente fallito: questo sistema di accompagnamento al lavoro non ha funzionato. Dobbiamo però riconoscergli il grande merito di aver salvato dalla povertà, attraverso il sostegno economico, milioni di famiglie, sostenendo una platea di beneficiari che è almeno il doppio di quella raggiunta oggi dalle attuali misure.
A quale ‘filosofia’ obbediscono le misure vigenti di contrasto alla povertà?
L’attuale Assegno d’Inclusione (Adi) è una misura per così dire ‘familista’, in quanto mira a sostenere le famiglie, più che gli individui, in presenza di componenti con determinati requisiti anagrafici, sanitari o sociali. Insieme all’Adi, va però detto, c’è il Supporto per la Formazione e il lavoro (Sfl), pure previsto dalla legge 85/2023: questa doveva essere la misura di accompagnamento al lavoro, prevedendo un sostegno economico per chi frequenti un corso di formazione ai fini di un inserimento lavorativo. Questa misura non ha funzionato per niente.
Sembra che le misure di accompagnamento al lavoro, nel nostro paese, siano destinate a fallire. Perché?
Perché non basta offrire occasioni di formazione o riqualificazione: occorre innanzitutto verificare che sul territorio esistano sbocchi. E se non esistono, bisogna crearli. E non basta neanche che il lavoro ci sia, è essenziale che sia dignitoso. Questo significa che non deve essere sottopagato, non deve imporre orari massacranti, non deve costringere a spostamenti insostenibili, non deve tollerare alcuna dinamica di sfruttamento. E, naturalmente, deve garantire condizioni di salute e sicurezza. In un contesto come quello che stiamo vivendo, il rischio è che tanti accettino condizioni inaccettabili pur di avere la sensazione di avere un lavoro e una dignità reddituale.
Si riferisce soltanto ai giovani?
Assolutamente no, anzi chi perde il lavoro dopo i 50 anni rischia di restarne fuori per sempre e, consapevole di questo, si costringe spesso ad adattarsi al lavoro e alle condizioni che trova. La riconversione e la riqualificazione sono sempre molto complicate, anche per i profili più alti.
All’indomani delle celebrazioni della Festa del Lavoro, quali impegni dovrebbero assumersi le istituzioni, per garantire lavoro e dignità a tutti, giovani e meno giovani?
Sicuramente un piano nazionale di contrasto alla povertà che preveda l’attuazione di misure straordinarie, oltre alla rivisitazione e al miglioramento degli strumenti ordinari. Nel contesto di crisi che viviamo, la povertà è in costante aumento ed è ormai un fenomeno strutturale, che come tale va affrontato. Per quanto riguarda in particolare il lavoro, bisogna assicurare salari adeguati e condizioni di lavoro dignitose. Occorre poi investire nella formazione e nella riqualificazione. E un’attenzione particolare verso chi perde il lavoro dopo i 50 anni: gli incentivi dovrebbero essere destinati anche alle aziende che assumano chi, non più giovane, ha perso il lavoro e rischia di non averne più uno.
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