Nel giorno dedicato alla lotta contro la violenza di genere, i dati del Viminale mostrano un quadro che resta critico. Mentre il Parlamento discute l’introduzione del reato specifico di femminicidio, in tutta Italia si moltiplicano le iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica.
I dati del Viminale
Quarantaquattro donne uccise da partner o ex partner nei primi nove mesi del 2025. È questo il numero che emerge dai report diffusi dal ministero dell’Interno e aggiornati al 30 settembre. Un dato che, pur registrando una lieve flessione rispetto alle 48 vittime dello stesso periodo del 2024, continua a essere insostenibile. Le donne rappresentano l’83% di tutti gli omicidi commessi da conviventi o ex, che nel complesso ammontano a 53 casi, appena uno in meno rispetto all’anno precedente.
Gli omicidi volontari in Italia sono diminuiti, passando da 255 a 224, con un calo del 12%. Anche le vittime donne sono scese da 91 a 73. Ma questo andamento generale non si traduce in un’inversione di tendenza quando si analizza la violenza domestica. Anzi: gli omicidi avvenuti in ambito familiare e affettivo con vittime donne sono passati da 70 a 60. Mentre le uccisioni per mano di un partner o ex partner restano drammaticamente elevate.
Una questione metodologica
C’è però un problema più profondo nella lettura di queste statistiche. Il ministero dell’Interno non classifica come femminicidi alcuni delitti commessi in famiglia, non applicando ancora le caratteristiche individuate dalla recente legge che ha istituito il reato specifico. Nei commenti ai report trimestrali pubblicati sul sito del Viminale, lo stesso ministero specifica di esaminare i dati sugli omicidi volontari con particolare attenzione ai delitti potenzialmente legati a liti familiari e violenza domestica, ma senza un focus specifico sul femminicidio.
Questo significa che il dato è probabilmente sottostimato. A confermarlo è anche il fatto che le cifre diffuse a ottobre riguardano solo i primi nove mesi dell’anno e non tengono conto degli ultimi mesi, nei quali numerosi sono stati i fatti di sangue. Una donna su tre in Italia, secondo i dati Istat, subisce violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita.
E le conseguenze più estreme di questa emergenza strutturale sono proprio i femminicidi.
Il disegno di legge sul femminicidio
Proprio nella giornata del 25 novembre, il Parlamento torna a discutere del disegno di legge per l’introduzione del delitto autonomo di femminicidio. L’obiettivo è riconoscere esplicitamente nel codice penale la specificità della violenza che colpisce le donne in quanto donne, distinguendo questa forma di omicidio dall’omicidio volontario tradizionale. La norma definirebbe il femminicidio come l’uccisione di una donna in un contesto segnato da violenza domestica, relazionale, sessuale o comunque radicato in motivazioni di genere.
Il testo prevede pene più severe, con un inasprimento delle circostanze aggravanti e la limitazione delle attenuanti che storicamente hanno contribuito a ridurre le condanne in casi di violenza maschile, come la presunta provocazione o la tempesta emotiva. Sul piano processuale, il progetto mira a rafforzare l’intero sistema di prevenzione. Tempi più rapidi per l’applicazione delle misure cautelari, valutazioni del rischio più accurate e standardizzate. E un coordinamento più stretto tra forze dell’ordine, procure, servizi sociali e centri antiviolenza.
Il disegno di legge include anche il potenziamento dei braccialetti elettronici, l’estensione dell’ammonimento e un miglior utilizzo delle banche dati che raccolgono episodi di violenza domestica, affinché la situazione di rischio sia visibile a tutte le autorità coinvolte.
Non manca, poi, un capitolo dedicato all’aspetto culturale, con investimenti in prevenzione, educazione nelle scuole, formazione degli operatori e campagne di sensibilizzazione permanente.
Le proposte di UN Women Italy per la parità di genere
Alla vigilia del 25 novembre, il comitato scientifico di UN Women Italy aveva presentato il suo primo report con dieci proposte per accelerare il percorso verso una reale parità di genere.
>Il documento punta su una forte crescita dell’occupazione femminile, che dovrebbe raggiungere il 70% attraverso un mix di formazione professionale e modelli di lavoro più flessibili. Un altro obiettivo centrale è l’azzeramento del divario retributivo ancora presente tra uomini e donne, insieme a un potenziamento significativo dei servizi educativi per l’infanzia: l’offerta di asili nido dovrebbe arrivare almeno al 50% entro i prossimi cinque anni.
Il comitato propone anche una svolta culturale e sociale, con l’introduzione di percorsi di educazione all’affettività nelle scuole e con un rafforzamento del ruolo paterno attraverso un congedo di paternità obbligatorio di tre mesi entro il 2028. L’idea di fondo è che la violenza contro le donne non possa essere affrontata solo sul piano repressivo, ma debba essere contrastata alla radice, eliminando gli squilibri che la rendono possibile.
Iniziative in tutta Italia: dalla Toscana a Milano
In occasione della giornata internazionale, l’Italia si mobilita con decine di iniziative. Parlamento, Palazzo Chigi e numerosi edifici simbolo in tutto il Paese si illuminano di arancione, il colore scelto dalle Nazioni Unite per simboleggiare un futuro libero dalla violenza di genere.
Associazioni, scuole, centri antiviolenza, università e amministrazioni locali organizzano manifestazioni, flash mob, letture pubbliche e inaugurazioni di nuove panchine rosse.
In Toscana torna “La Toscana delle donne”, con dieci giorni di appuntamenti dal 16 al 28 novembre che coinvolgono ospiti come Ambra Angiolini, Chiara Francini, Simona Molinari ed Edoardo Leo. L’Università di Firenze mette in campo oltre venti iniziative tra il 19 novembre e il 9 dicembre, attraverso dipartimenti, scuole, musei e biblioteche. Tra gli eventi più significativi, il 25 novembre alle 12 nell’Aula Magna di Piazza San Marco viene consegnato il Premio di Laurea Eleonora Guidi, istituito in memoria della giovane uccisa a Rufina l’8 febbraio, destinato alle tesi che affrontano la violenza di genere.
A Milano, il collettivo “Non Una di Meno” organizza una manifestazione con lo slogan “Sabotiamo guerre e patriarcato”. A Brindisi si svolge un sit-in in piazza della Vittoria dalle 9 alle 13 con la partecipazione delle scuole.
>A Olbia l’artista internazionale Ana Maria Serna presenta la mostra “Sono un violento?” con letture e testimonianze per dare voce alle storie delle donne. Anche Pordenone e numerosi altri comuni della penisola aderiscono con calendari di eventi che vanno da incontri formativi a spettacoli teatrali, da commemorazioni a rassegne culturali.
I simboli della lotta: scarpette rosse e panchine
Due simboli accompagnano da anni la giornata del 25 novembre. Le scarpette rosse nascono nel 2009 da un progetto dell’artista messicana Elina Chauvet: centinaia di paia di scarpe femminili di ogni tipo, rigorosamente rosse per raffigurare il sangue delle vittime, vengono esposte lungo percorsi urbani per simboleggiare la marcia silenziosa di donne che non ci sono più.
Le panchine rosse, invece, rappresentano il posto vuoto lasciato da una donna uccisa. Non ci si siede: è il modo per indicare simbolicamente la mancanza e il venir meno di chi è stato privato della vita con la violenza. Installate in luoghi pubblici come piazze, giardini, scuole o musei, le panchine attirano l’attenzione, suscitano riflessione e ricordano alle donne che hanno bisogno di aiuto il numero gratuito antiviolenza 1522.
Il 25 novembre affonda le sue radici nel 1960, quando nella Repubblica Dominicana vennero uccise le tre sorelle Mirabal, Patria, Minerva e Maria Teresa, attiviste in opposizione al regime del dittatore Rafael Trujillo. Furono intercettate da agenti del Servizio di informazione militare, seviziate, violentate, uccise e infine lanciate da un dirupo con la loro auto per simulare un incidente. L’omicidio scatenò una reazione popolare che culminò nel 1961 con l’uccisione di Trujillo, segnando la fine di una dittatura trentennale. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite istituì formalmente la giornata con la risoluzione 54/134 del 17 dicembre 1999.
Sessantacinque anni dopo, quella data rimane un appuntamento per non dimenticare e per ribadire che la violenza di genere non è un fatto privato, ma un fenomeno strutturale che richiede una risposta altrettanto strutturale.
© Riproduzione riservata
