È quanto emerge dalla ricerca ‘La sfida della longevity’, realizzata da Intoo e Wyser, due società di Gi Group. Oltre il 60% dei manager italiani ritiene che le aziende non stiano facendo abbastanza e che non siamo ancora pronti a questo passaggio. Poche politiche e ancora troppa poca attenzione ai bisogni dei lavoratori senior.
Gli over 65 rappresentano il 24,7% della popolazione in Italia. Numeri che crescono sempre più. Un invecchiamento generale che ha certamente effetti sulla forza lavoro, sul turn over, la formazione e l’adeguamento degli ambienti d’impiego. Eppure, le politiche lavorative non sembrano essere all’altezza. Secondo il 62% dei manager italiani le nostre imprese non sono ancora pronte a gestire tale situazione. È quanto emerge dalla ricerca ‘La sfida della longevity’, realizzata da Intoo e Wyser, due società di Gi Group. Un’indagine che ha visto intervistare centinaia di dirigenti e lavoratori con almeno 50 anni.
Le aziende non sono pronte all’invecchiamento dei lavoratori
Non è l’unico dato a far riflettere. Oltre la voce dei manager, la ricerca ha ascoltato quella dei dipendenti over 50. Più di uno su tre lamenta che la propria azienda non sia sufficientemente attenta ai loro bisogni. Si registra scarso interesse, dunque, nel creare un equilibrio più attento tra vita privata e professionale, nel sostenere ritmi adeguati all’età, stabilità e sicurezza.
Che l’attenzione sia poca verso questa grande trasformazione demografica, lo dimostra il fatto che solo due lavoratori over 50 su dieci (il 20%) è a conoscenza di iniziative dedicate al tema. Inoltre, solo il 12% ne ha preso parte. Tutto sembra infatti limitarsi alla sola fase di prepensionamento. Lì si concentrano iniziative come programmi di formazione, flessibilità oraria, mappatura delle competenze e benessere organizzativo. In realtà, invece, il processo di azione sull’invecchiamento della popolazione lavorativa dovrebbe cominciare molto prima.
Discriminati, nonostante l’età sia un valore
Oggi assistiamo ad un fenomeno unico. Tra le quattro e le cinque generazioni possono essere impiegate nel medesimo ambiente lavorativo. Età diverse, percorsi diversi, diversa formazione e un diverso modo di intendere il lavoro. Questo è quello che accade troppo spesso. Con reciproche incomprensioni, tanto che – secondo l’indagine – i dipendenti più anziani sono anche bersaglio di discriminazione. Lo sostengono quasi sette lavoratori senior su dieci (69%) e quasi otto manager su dieci (78%). A questo si aggiungano altri due aspetti: un dipendente su cinque si è sentito escluso o penalizzato per l’età, mentre otto dirigenti su dieci hanno dichiarato che questa è un ostacolo nella selezione di figure manageriali.
È una situazione che stride con l’orgoglio per la “propria età”. Il 70% dei lavoratori intervistati, infatti, ritiene che gli anni accumulati abbiano un valore strettamente connesso all’esperienza. E se da una parte il 75% dei manager sostiene che i dirigenti più giovani siano favoriti da una maggiore conoscenza degli strumenti digitali, dall’altra, il 70% degli over 50 considera la tecnologia una risorsa fondamentale. Tanto che il 76% chiede di accedere a percorsi di formazione per l’aggiornamento. Nessun timore sembra incutere l’intelligenza artificiale. Il 69% dei manager e la metà dei lavoratori senior la percepisce come un’opportunità.
In sintesi, la sfida cruciale che ci attende oggi è quella di armonizzare l’esperienza consolidata dei lavoratori senior con le dinamiche sempre più complesse del mercato attuale. Non si tratta solo di riconoscere il valore dell’anzianità lavorativa, ma di integrarla con la spinta alla competitività e con una profonda consapevolezza della transizione demografica in atto. Solo così è possibile costruire un futuro lavorativo che valorizzi tutte le generazioni e le loro uniche capacità.
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