L’attore toscano si è spento a 88 anni a Roma. Una carriera straordinaria tra cinema d’autore, teatro colto e collaborazioni con i più grandi registi italiani. Da Pasolini a Benigni, ha recitato in oltre 120 film.
Addio a “Leonardo da Vinci” e allo “zio siciliano”
Paolo Bonacelli si è spento il 9 ottobre a Roma, all’età di 88 anni. Con lui se ne va un pezzo importante della storia del cinema e del teatro italiano, un attore che ha attraversato più di mezzo secolo di cultura nazionale senza mai perdere quella particolare intensità che lo rendeva riconoscibile in ogni ruolo.
Nato nel 1937 a Roma ma cresciuto a Prato, Bonacelli aveva fatto del suo volto scavato e della sua voce particolare degli strumenti espressivi unici. La notizia della scomparsa ha scosso il mondo dello spettacolo. Attori, registi e intellettuali hanno ricordato un professionista rigoroso, un uomo di grande cultura e uno degli ultimi rappresentanti di quella generazione di interpreti per cui recitare era innanzitutto un esercizio di pensiero. La famiglia ha fatto sapere che l’attore è morto serenamente, circondato dall’affetto dei suoi cari.
Dal teatro d’avanguardia al grande schermo
La formazione di Bonacelli parte dal teatro, quello più colto e sperimentale. Negli anni Sessanta si lega al Gruppo della Rocca di Umberto Orsini e Tino Carraro, un laboratorio fondamentale per la sua crescita artistica. È in quegli anni che costruisce il suo metodo, quello di un attore cerebrale ma mai freddo, capace di portare sul palco personaggi complessi con una precisione quasi chirurgica.
Il cinema lo scopre presto, ma è con Pier Paolo Pasolini che arriva la consacrazione definitiva. Nel 1975 interpreta il Duca in Salò o le 120 giornate di Sodoma, uno dei film più controversi e discussi della storia del cinema italiano. Quel ruolo, di una violenza simbolica devastante, mostra tutta la sua capacità di abitare il disagio e la contraddizione senza mai scivolare nella macchietta.
Pasolini aveva visto giusto: Bonacelli possedeva quella particolare qualità che serve per incarnare il male senza giudicarlo, per rappresentarlo nella sua banalità più agghiacciante.
Tra autori e commedia, una versatilità rara
Ma sarebbe riduttivo confinare Bonacelli nel cinema impegnato, perché la sua carriera dimostra una versatilità sorprendente.
Lavora con i fratelli Taviani in Allonsanfàn e con Ettore Scola ne La terrazza, film che fotografano l’Italia degli anni Settanta con lucidità spietata. Negli anni Ottanta e Novanta diventa un volto familiare anche per il grande pubblico grazie alle commedie di Massimo Troisi e Roberto Benigni. In Non ci resta che piangere (1984) è Leonardo da Vinci, che si lascia “educare” dai due protagonisti catapultati nel Quattrocento toscano. In Johnny Stecchino (1991) interpreta con ironia sottile il ruolo dello “zio”, che contribuisce al successo straordinario del film, visto da oltre 7 milioni di spettatori. Questa capacità di passare dal dramma esistenziale alla commedia senza mai tradire la propria cifra interpretativa lo ha reso un attore completo, capace di dialogare con registri diversi mantenendo sempre una sua identità precisa.
Ma Bonacelli ha lavorato anche nel cinema internazionale. Nel 2025 è apparso in In the Hand of Dante, una delle sue ultime interpretazioni che testimonia come non avesse mai smesso di mettersi in gioco.
Il rispetto dei colleghi per un professionista esemplare
Bonacelli non ha mai amato i riflettori al di fuori del lavoro. Raramente concedeva interviste, e quando lo faceva parlava del mestiere dell’attore con rigore quasi artigianale. Per lui recitare è sempre stato un lavoro serio, che richiedeva studio, disciplina e una costante messa in discussione di sé. Non cercava la popolarità fine a se stessa, ma la qualità dei progetti. Questa coerenza gli è valsa il rispetto di colleghi e registi, che lo hanno sempre considerato un punto di riferimento. Oltre ai 120 film all’attivo, ha continuato a calcare i palcoscenici teatrali fino agli ultimi anni, portando in scena classici e testi contemporanei con la stessa dedizione.
Il suo approccio al teatro era quello di un intellettuale che non rinuncia mai alla dimensione popolare dell’arte. Recitare, per Bonacelli, significava sempre comunicare qualcosa di profondo al pubblico, senza per questo scendere a compromessi con la facilità.
Con Paolo Bonacelli il cinema italiano perde un pilastro
La morte di Paolo Bonacelli – come si usa dire in questi casi – lascia un vuoto difficile da colmare nel panorama culturale italiano. E non è un modo di dire; non perché manchino attori di talento, ma perché con lui se ne va un certo modo di intendere la professione, fatto di rigore e umiltà.
Le istituzioni culturali hanno espresso cordoglio, ma anche il mondo del teatro piange la scomparsa di uno dei suoi protagonisti più coerenti. I social si sono riempiti di ricordi e omaggi da parte di chi ha avuto la fortuna di lavorare con lui o semplicemente di ammirarne il talento sullo schermo. Bonacelli lascia una filmografia impressionante per varietà e qualità, un corpus di lavoro che continuerà a essere studiato e apprezzato.
Resta il ricordo di un attore che non ha mai tradito se stesso, che ha fatto della coerenza artistica la sua bandiera e che ha saputo attraversare epoche e mode senza mai piegarsi al conformismo.
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