Al Taormina Film Festival, l’attore ‘premio Oscar’ annuncia il ritiro dal set e avverte: «Con i social e l’intelligenza artificiale stiamo perdendo il contatto con la realtà»
«Ho lavorato duramente per quasi sessant’anni e non voglio essere uno di quelli che muore sul set. Sono felice di prendermi del tempo per me stesso». Michael Douglas, 80 anni, ha scelto di smettere di recitare, per stare più vicino alla sua famiglia e alla moglie Catherine Zeta-Jones, «a meno che non arrivi la proposta di un progetto davvero speciale». Così ha dichiarato recentemente l’attore del New Jersey che, nel corso della sua carriera, ha regalato al pubblico ruoli diventati iconici.
Quando lo abbiamo incontrato all’ultimo Taormina Film Festival, la star hollywoodiana ci ha raccontato com’è stato il suo percorso, partendo dal fatto che ha dovuto uscire dall’ombra del padre Kirk per trovare una propria identità.
Tutto è iniziato nel 1976, quando ha vinto l’Oscar come “Miglior produttore” per Qualcuno volò sul nido del cuculo. «In quel momento ho capito che la mia vita stava cambiando», ha detto. A quel tempo l’attore era ancora associato più al padre. «Molti si aspettavano che fossi una sua copia – ha raccontato – ma ho cercato la mia voce, la mia strada». Una missione non facile per chi cresce in una famiglia così radicata nel mondo di Hollywood.
L’esperienza come produttore di Qualcuno volò sul nido del cuculo, uno dei film più amati della storia del cinema, resta per Douglas un punto d’orgoglio. «Era un progetto che mio padre aveva iniziato. Io l’ho portato avanti e ho dovuto lottare per realizzarlo. Quando lessi il libro per la prima volta, capii che aveva un potenziale enorme. Il film ha cambiato il mio modo di vedere il cinema. Ho imparato a fidarmi del mio istinto, che ancora oggi cerco di seguire, anche se con più consapevolezza», ha spiegato Douglas, ricordando con affetto anche la presentazione romana del film: «Allora ebbi la possibilità di incontrare grandi maestri come Bertolucci, De Sica, Antonioni, Wertmüller. Io e Jack Nicholson fummo accolti con un calore incredibile».
Il Cuculo ha segnato per lui l’inizio di un cammino artistico che, dodici anni più tardi, lo avrebbe consacrato definitivamente anche come attore, facendogli vincere la statuetta per Wall Street, dove interpretava lo spietato Gordon Gekko. «Quell’Oscar è stato un segnale forte. Mio padre, con ironia, disse: “Se avessi immaginato un tale successo, forse sarei stato più gentile con lui”. Quel riconoscimento mi ha dato una nuova fiducia e mi ha aiutato a scrollarmi di dosso il paragone».
Parlando di Gordon Gekko, Douglas ha poi riflettuto sul fascino ambiguo di un personaggio corrotto e senza scrupoli. «Era un uomo potente, ma profondamente negativo. Eppure, il pubblico lo ha amato molto. Mi ha fatto pensare a quanto la gente possa restare affascinata dal potere, anche quando è usato in modo discutibile. Figure così esistono ancora, nella Silicon Valley come in politica».
Sempre nel 1987 Douglas è il protagonista, al fianco di Glenn Close, di Attrazione fatale, un altro successo epocale. «Anche quel film fu un momento di svolta per me. Divenne un fenomeno globale e trasformò radicalmente la percezione che il pubblico aveva di me», ha detto.
Un altro ruolo iconico è stato quello in Basic Instinct, arrivato nel 1992, in cui ha condiviso la scena con Sharon Stone: «È stata un’esperienza intensa, fatta di riprese impegnative e un’atmosfera carica di tensione. Sharon fu straordinaria, affrontò ogni scena con grande coraggio. All’epoca non esistevano ancora le figure di supporto sul set per le scene intime: ci si affidava al rispetto reciproco».
Nel 2010, la vita dell’attore ha subìto una battuta d’arresto quando ha scoperto di avere un tumore alla gola. Un momento difficile, che però non lo ha fermato: «Quando Steven Soderbergh mi ha proposto di interpretare Liberace in Dietro i candelabri, ho pensato potesse essere il mio ultimo film – ha detto con commozione -. Ero incerto sulle mie forze, ma anche pieno di gratitudine per essere ancora vivo. Quell’esperienza mi ha dato nuova energia e un punto di vista diverso su tutto».
Uno degli ultimi ruoli di Douglas, è stato quello di Benjamin Franklin nella serie Franklin di Apple TV+, uscita nel 2024. Tra i progetti sfumati, c’è una serie tv in cui avrebbe dovuto vestire i panni di Ronald Reagan: «Era una produzione interessante, ambientata durante l’incontro tra Reagan e Gorbaciov a Reykjavík. Un momento cruciale della storia recente. Ma alla fine non ha funzionato. E guardando il presente, temo che siamo di nuovo vicini a un pericoloso punto di rottura».
Anche se il mondo dell’intrattenimento sta vivendo una rivoluzione, Douglas resta legato al grande schermo. «Lo streaming ha cambiato le regole, ma il cinema in sala resta insostituibile. È il luogo dove portavamo i nostri figli a vedere un film per la prima volta. È un’esperienza collettiva che non può essere replicata su uno schermo piccolo». Sull’intelligenza artificiale, però, è molto critico: «Mi spaventa, così come i social. Stiamo perdendo il contatto umano. Bisogna porre dei limiti, soprattutto per proteggere le nuove generazioni. Serve più dialogo».
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