Nel mondo crescono ovunque le liste d’attesa nella sanità pubblica. Il supporto dell’IA e le criticità in Italia
Le lunghe liste d’attesa nella sanità non sono un fenomeno solo italiano. A rivelarlo è il Future Health Index 2025, lo studio globale più ampio nel settore sanitario, che ha coinvolto 2.000 operatori sanitari e 16.000 pazienti in 16 Paesi. Il rapporto descrive una situazione comune: i sistemi sanitari di tutto il mondo sono sotto pressione e a farne le spese sono in primo luogo i pazienti. Più della metà di loro, infatti, attendono in media quasi due mesi per una visita specialistica. In Canada e Spagna, possono superare i quattro. L’attesa media globale è di 70 giorni, che arrivano a 128 in Spagna e a 109 in Germania.
Liste d’attesa sempre più lunghe nei sistemi sanitari mondiali
Il rapporto evidenzia come, in oltre la metà dei Paesi esaminati, i cittadini debbano attendere quasi due mesi per accedere a una visita specialistica. In contesti come Canada e Spagna, i tempi si allungano ulteriormente, superando spesso i quattro mesi. La media globale di attesa si attesta intorno ai 70 giorni, ma in alcune realtà si registrano punte ben più elevate: in Brasile si arriva a 131 giorni, in Spagna a 128 e in Germania a 109. Anche nei sistemi sanitari considerati tra i più evoluti, come quelli del Regno Unito e degli Stati Uniti, i tempi di accesso si mantengono elevati, con attese rispettivamente di 59 e 51 giorni.
Quando l’attesa mette a rischio la salute dei pazienti
Questi ritardi non rappresentano soltanto un disagio, ma un vero e proprio rischio per la salute. Un paziente su tre ha riportato un peggioramento della propria condizione a causa dell’attesa prolungata. E oltre uno su quattro è stato ricoverato in ospedale per non aver ricevuto cure tempestive. Particolarmente colpiti i pazienti affetti da patologie cardiache, costretti ad aspettare il 20% in più rispetto ad altri. Con un conseguente aumento dei casi di aggravamento clinico. Dal punto di vista dei professionisti sanitari, la situazione non è meno complessa: il sovraccarico burocratico e la gestione inefficiente dei dati clinici rappresentano ostacoli quotidiani. Il 77% degli operatori riferisce di perdere tempo a causa di informazioni mancanti o difficilmente accessibili, e circa un terzo stima di sprecare oltre 45 minuti per turno solo per recuperare i dati necessari. Questo si traduce in un’intera mensilità lavorativa all’anno sottratta all’assistenza diretta ai pazienti.
L’intelligenza artificiale può snellire i percorsi di cura
In questo contesto complesso, l’intelligenza artificiale (IA) si propone come una soluzione concreta per affrontare la crisi delle liste d’attesa. Secondo il report, il 78% dei professionisti sanitari ritiene che l’IA possa aumentare la capacità assistenziale e il 76% è fiducioso che possa ridurre i tempi di attesa. La tecnologia, infatti, permette di automatizzare compiti ripetitivi, migliorare la qualità della diagnosi e liberare tempo da dedicare ai pazienti. Non solo: l’IA potrebbe anche potenziare il lavoro dei professionisti meno esperti, garantendo un migliore accesso alle cure nelle aree più svantaggiate. Nella previsione di una carenza globale di 11 milioni di operatori sanitari entro il 2030, questi strumenti diventano alleati indispensabili per garantire cure tempestive e di qualità.
Liste d’attesa in Italia: sempre più cittadini rinunciano a curarsi
Anche in Italia la situazione sulle liste d’attesa è preoccupante. Secondo un sondaggio condotto da Ipsos per la Federazione italiana medici di medicina generale (FIMMG), l’80% degli italiani ha dichiarato di aver rinunciato almeno una volta a una prestazione sanitaria pubblica. In netto aumento rispetto al 65% registrato nel 2024. Di fronte alle tempistiche del servizio pubblico, l’84% degli utenti sceglie di rivolgersi al settore privato, mentre il 13% decide di non curarsi affatto. Anche la carenza di servizi sul territorio rappresenta un ostacolo rilevante. Il 53% degli intervistati ha infatti affermato di non aver potuto ricevere la prestazione necessaria perché non disponibile nella propria area di residenza, rispetto al 44% dell’anno precedente. In questi casi, il 76% ha cercato risposte nel privato, mentre il 20% ha rinunciato del tutto alle cure. Questo dato sale fino al 28% tra chi si trova in condizioni economiche difficili, confermando come le disuguaglianze sociali si riflettano pesantemente sull’accesso alla salute.
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