Chiara Gatti, direttrice del Museo MAN di Nuoro, racconta la mostra: opere di artisti che hanno percepito la spinta verso la natura
Quale legame profondo unisce un’isola ai suoi simulacri? Come le figure arcaiche, con il loro potere simbolico ed evocativo, sono divenute stimolo e immaginario per i maestri del Novecento in viaggio fra Mediterraneo e Mari del Sud? La mostra Isole e Idoli, che inaugura la stagione estiva del Museo MAN di Nuoro, nasce per rispondere a queste domande e per comprendere come il potere simbolico e mitico delle figure arcaiche, custodite entro i confini dell’insularità, si sia rigenerato, a distanza di secoli, nelle forme del moderno. Curata da Chiara Gatti e Stefano Giuliani, con il contributo di Matteo Meschiari, l’esposizione vede la partecipazione di Fundació Pilar i Joan Miró, Mallorca, Musée du Louvre e Fondation Giacometti di Parigi. Una settantina le opere selezionate, per un dialogo tra preistoria e avanguardie, fra gli idoli cicladici e le sculture lignee che Gauguin intagliò nei suoi anni di Tahiti, fra passato e presente nei continui corsi e ricorsi della storia delle immagini, dove risulta evidente come gli artisti moderni non abbiano replicato l’antico, ma abbiano condiviso la medesima necessità: “rappresentare l’altrove attraverso statue, steli, monoliti che personifichino l’invisibile in terra”. Abbiamo incontrato la curatrice, Chiara Gatti, direttrice del Museo MAN, per farci raccontare il progetto espositivo.
Direttrice, questa mostra è un viaggio.
Isole e idoli è un viaggio sulle orme degli artisti che, in epoca moderna, quindi tra la fine dell’Ottocento e il Novecento, si sono spinti verso territori lontani dalla civiltà a loro contemporanea, dalla “pazza folla” dell’Europa, verso panorami, paesaggi e luoghi ai confini del mondo, seguendo le orme di un passato arcaico alla ricerca di una sorta di paradiso edenico, ma anche di sé stessi.
Paul Gauguin ed Henri Matisse hanno veleggiato verso i mari del Sud e le Isole Marchesi, da Tahiti a Papeete. Joan Mirò, invece, ha compiuto il suo viaggio ideale attraverso il Mediterraneo a caccia di reperti, di tradizioni folcloriche. Nei suoi appunti quotidiani, evocava inoltre le statue Moai dell’Isola di Pasqua, come riferimento potente per nuove forme scultoree, riconoscendo in esse l’incarnazione di uno spirito ancestrale.
Quello verso e attraverso le isole non è solo un viaggio fisico.
In effetti non si tratta solo di luoghi geografici. L’isola non è intesa come una geografia ma come uno spazio mentale, diventa la raffigurazione di un concetto e di un luogo ideale, tanto è vero che la prima isola di Gauguin è la Bretagna, che non è un’isola ma è una fuga in un luogo dove la natura era per lui ancora vergine, dove persistevano le tradizioni contadine e un rapporto fra uomo e cosmo ancora originario. Per cui l’isola diventa quello spazio dove sopravvivono le tradizioni e soprattutto una sintonia uomo-natura che nella città e nel mondo civilizzato si sono perdute.
Che rapporto emerge tra il mondo arcaico e gli artisti moderni?
In questa mostra non parliamo di esotismo o di primitivismo, che sono parole oggi bandite dalle riflessioni post-coloniali. Infatti, non raccontiamo storie di artisti che hanno copiato o si sono ispirati a modelli di culture primigenie, ma di maestri che hanno percepito la stessa spinta verso la natura e anche verso l’altrove, in una dimensione del sacro che era uguale a quella delle culture primigenie. In sostanza, parliamo di un sentimento condiviso. Matisse, Cezanne, Arp, Mirò, Pechstein, Giacometti hanno interpretato il viaggio e, soprattutto, questo concetto ideale dell’isola, nello stesso modo in cui è stato vissuto dalle popolazioni e dalle culture primigenie. Per cui il paragone tra moderno e arcaico è una condivisione di sentimento e di necessità.
Ci fa degli esempi?
In mostra questi concetti sono rappresentati attraverso confronti e dialoghi ideali. Le figure essenziali di Jean Arp sono accostate, ad esempio, alle forme sintetiche della statuaria cicladica che lui, tra l’altro, collezionava e teneva nel suo studio. Mirò, invece, è avvicinato idealmente alle tradizioni, alle culture, all’oggettistica del Mediterraneo, che punteggiava allo stesso modo il suo studio, e si ritrova nell’allegria di decorazione della sua scultura polimaterica, inventiva e anche un po’ lirica. Una grande testa di Budda del XVII secolo è affiancata alle xilografie che illustrano Noa Noa, il diario di viaggio di Gauguin a Papeete, in cui racconta anche di riti, credenze e tradizioni di quelle popolazioni.
E la Sardegna?
Nella sezione dedicata ai monoliti spicca un menhir sardo, in prestito dal Menhir Museum di Laconi, con una di queste figure monolitiche eredi di una lunga catena di siti archeologici legati ai menhir, che idealmente dalla Scozia scende in Bretagna e approda in Sardegna. C’è un bel dialogo tra il menhir guerriero Bau Carradore e alcune teste di pietra che arrivano dai musei bretoni, guerrieri o personaggi nobili di una dinastia perduta, per questo considerati idoli protettori della casa, come i Lari romani. Inoltre, sono esposti bronzetti legati alla cultura nuragica, soprattutto gli offerenti, piccoli idoli domestici ‘traghettatori’, con la funzione cioè di scortare il fedele tra la dimensione del visibile e dell’invisibile.
L’incontro più emozionante della mostra?
Sicuramente il dialogo fra una scultura di Alberto Giacometti, un uomo seduto in posizione di preghiera, e una testa cicladica prestata eccezionalmente dalle collezioni archeologiche del Louvre. È un confronto ideale, puramente evocativo, che vede un genio della scultura del Novecento inchinarsi al cospetto di un’opera arcaica come questa del Louvre, omaggio che il moderno rende all’antico.
Isole e idoli
Museo MAN, Nuoro
Fino al 16 novembre 2025
www.museoman.it
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