Il rapporto di Assindatcolf fotografa un comparto essenziale per le famiglie italiane ma alle prese con retribuzioni basse, turnover elevato e difficoltà di ricambio generazionale. La maggior parte dei collaboratori vuole cambiare lavoro entro il 2030.
Opportunità (e fragilità) per un milione di lavoratori
Chi pulisce le nostre case, chi si prende cura dei nostri anziani, chi bada ai bambini mentre siamo al lavoro? Dietro queste domande quotidiane si nasconde un mondo fatto di oltre un milione e 229 mila persone. Un esercito silenzioso che muove un giro d’affari da 17 miliardi di euro, quasi l’1% del Prodotto Interno Lordo nazionale. Eppure questo settore, tanto strategico quanto poco raccontato, sta attraversando una fase complicata. Il quarto rapporto Family (Net) Work, presentato a Roma da Assindatcolf insieme alla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, mette nero su bianco una realtà che molte famiglie italiane conoscono bene: trovare e mantenere un collaboratore domestico è sempre più difficile.
Dal 2019 a oggi il comparto ha perso 47 mila lavoratori, di cui 23 mila soltanto nell’ultimo anno. Non si tratta di un calo fisiologico ma di un’emorragia che rischia di compromettere l’equilibrio di migliaia di nuclei familiari. Il 2024 ha registrato 383.425 nuove attivazioni contro 382.611 cessazioni, con un saldo positivo di appena 814 unità dopo tre anni consecutivi di segno negativo. Una ripresa troppo timida per invertire la tendenza.
La ricerca condotta su 421 collaboratori domestici durante l’estate restituisce un quadro ancora più preoccupante. Solo il 38,6% vorrebbe mantenere l’occupazione attuale, mentre ben il 61,4% guarda altrove e progetta un cambiamento entro i prossimi cinque anni.
Cresce la domanda ma la fedeltà vacilla
L’invecchiamento della popolazione italiana ha ribaltato gli equilibri interni al settore. Le badanti oggi rappresentano quasi due terzi dei nuovi contratti attivati, precisamente il 64,3%, quando dieci anni fa la quota si fermava al 53,4%. Al contrario, i contratti per colf e altri collaboratori domestici sono crollati di oltre il 20%.
La demografia non mente: con sempre meno nascite e un’età media in continua crescita, aumenta la necessità di assistenza agli anziani. Le badanti risultano essere le più strutturate tra le categorie professionali del settore. Tre quarti di loro lavorano per una sola famiglia e quasi la metà vive in convivenza con la persona assistita. Questo comporta un carico di lavoro significativo: il 44% supera le 40 ore settimanali.
Nonostante l’impegno richiesto, le badanti mostrano livelli di soddisfazione superiori rispetto alle altre figure professionali. Il 47,6% si dichiara molto contento del proprio lavoro, soprattutto per il legame che si crea con la famiglia e per la gratificazione che deriva dal prendersi cura di chi ne ha bisogno. Anche la valutazione del contratto è relativamente positiva: il 33,8% è molto soddisfatto, il 43,4% abbastanza.
Tuttavia, anche qui emerge un dato preoccupante: il 58,9% esprime comunque il desiderio di cambiare condizione entro il 2030. Le ragioni? Per il 40,3% pesa una retribuzione giudicata inadeguata, per il 32,3% il problema è la mancanza di tempo libero. La durata media dei contratti delle badanti è di 449 giorni, poco più di un anno, un dato che racconta una precarietà strutturale e un turnover elevato.
Babysitter e colf, professioni a rischio estinzione
Se le badanti rappresentano il nucleo più stabile del settore, babysitter e colf vivono situazioni ancora più complicate. Le babysitter costituiscono circa il 20% della forza lavoro domestica e nella maggior parte dei casi hanno un solo committente con un impegno inferiore alle 30 ore settimanali. Il 46,8% si dice molto soddisfatto del lavoro in sé, ma quando si parla di condizione contrattuale la percentuale crolla al 19,4%. Le retribuzioni troppo basse pesano per il 58,6% delle intervistate, la scarsa tutela contrattuale per il 31%. Non sorprende quindi che il 63,9% preveda di cambiare occupazione nei prossimi anni.
Le colf vivono la condizione più frammentata: solo il 42,8% lavora per una sola famiglia, mentre oltre la metà è impegnata con più datori di lavoro. Questo spezzettamento delle ore non garantisce né stabilità economica né continuità professionale. I livelli di soddisfazione sono i più bassi dell’intero comparto: appena il 27,5% si dichiara molto soddisfatto del proprio lavoro, solo il 15,2% della condizione contrattuale. Retribuzioni inadeguate e fatica fisica rappresentano i principali motivi di malcontento, citati rispettivamente dal 40,7% e dal 27,6% delle intervistate. Anche in questo caso il 62,8% guarda a un cambiamento nel prossimo quinquennio. La durata media dei contratti per le colf arriva a 1.238 giorni, circa tre anni e mezzo, un dato che riflette una maggiore stabilità rispetto alle badanti ma comunque lontano da quella continuità che servirebbe.
Il profilo: over 50 e voglia di cambiare
L’identikit del collaboratore domestico tipo è abbastanza definito. Ha superato i cinquant’anni, appartiene in larga maggioranza alla componente femminile della popolazione, spesso proviene da altri Paesi. Non si tratta di un’occupazione scelta per vocazione ma per necessità economica. La scarsa attrattività del settore impedisce un ricambio generazionale che invece sarebbe urgente. Difficile immaginare giovani interessati a un lavoro caratterizzato da retribuzioni modeste, tutele insufficienti, orari spesso poco compatibili con una vita personale equilibrata.
Secondo Assindatacolf, per superare le criticità principali serve rendere il settore più sostenibile anche dal punto di vista economico, evitando che l’intero peso ricada sulle famiglie datrici di lavoro. Senza interventi strutturali, il rischio è che il settore continui a perdere addetti proprio mentre la domanda di assistenza cresce. Inoltre, l’irregolarità resta un’altra piaga. Si stima che una quota significativa dei lavoratori domestici operi senza contratto regolare, con tutte le conseguenze in termini di diritti negati e mancati contributi.
Valorizzare queste professioni, renderle più riconoscibili e tutelate, non è solo una questione di giustizia sociale ma una necessità per garantire stabilità alle famiglie italiane che sempre più spesso non possono farne a meno.
© Riproduzione riservata
