Il Banco Agricolo Popolare di Sicilia ha “adottato”, tra Enna e il fiume Simeto, alberi dove la terra si spacca. Un esperimento di agricoltura rigenerativa che mescola ambiente, legalità e solidarietà per fermare l’avanzata del clima impazzito nell’entroterra siciliano.
Torna il verde dove c’era solo polvere
Ci sono luoghi in Sicilia dove camminare significa calpestare crepe. Terre che si fendono come pelle secca, dove l’acqua è un ricordo lontano e gli alberi una rarità.
Succede tra la Valle del Simeto e i Calanchi di Cannizzola, vicino Centuripe, in provincia di Enna. Qui il Banco Agricolo Popolare di Sicilia ha deciso di fare qualcosa che sembra quasi una sfida alla geografia: piantare cinquanta ulivi. Non in un terreno fertile, non in una zona protetta, ma proprio dove la desertificazione morde più forte, dove la campagna è stata abbandonata e il paesaggio assomiglia sempre più a quello di un deserto vero.
L’iniziativa non è solo un gesto simbolico. Gli alberi sono stati affidati all’azienda agricola Lumacapizzi, che li curerà con tecniche biologiche pensate per rigenerare il suolo senza stressarlo ulteriormente. L’obiettivo è dimostrare che si può invertire la rotta anche in condizioni estreme, restituendo vita a una terra che sembrava condannata. E farlo seguendo un modello di economia circolare, dove ogni passaggio ha un senso sociale oltre che ambientale.
Olio buono che diventa aiuto concreto
Da questi ulivi nascerà un olio extravergine di oliva IGP, prodotto secondo standard rigorosi e destinato a un percorso particolare. Il Banco Agricolo Popolare di Sicilia ha scelto di non commercializzarlo, ma di donarlo interamente a enti benefici e organizzazioni locali. Una scelta che trasforma un prodotto agricolo in strumento di solidarietà, creando un legame diretto tra la terra recuperata e chi vive situazioni di fragilità nel territorio.
I numeri del progetto raccontano un impegno progressivo. Nei primi tre anni la banca riceverà 50 litri di olio per annata, una quantità che salirà a 100 litri dal quarto al quinto anno, fino ad arrivare a 150 litri dal sesto anno in avanti. Ogni litro prodotto andrà a sostenere progetti sociali, chiudendo un cerchio che parte dalla bonifica del suolo e arriva all’aiuto concreto alle persone. In questo modo l’adozione degli ulivi finanzia la manutenzione continua dell’area, permettendo all’azienda agricola di proseguire gli interventi di recupero e gestione sostenibile.
La terra sottratta alla criminalità che rifiorisce
C’è un altro aspetto che rende questo progetto significativo.
Alcuni dei terreni coinvolti sono stati confiscati alla criminalità organizzata, tolti al controllo di quella che viene definita “mafia agricola” e restituiti a un uso legale e produttivo. Piantare ulivi in queste zone significa affermare che la terra può cambiare destinazione, passare da strumento di illegalità a risorsa per la comunità. È una forma di riscatto che unisce giustizia sociale e tutela ambientale, dimostrando che la legalità può essere anche rigenerativa, nel senso letterale del termine.
Il contesto in cui si muove l’iniziativa è quello di un’agricoltura che prova a reinventarsi. La Sicilia interna affronta problemi strutturali: spopolamento, mancanza di infrastrutture idriche, terreni lasciati a se stessi. La combinazione di questi fattori con il cambiamento climatico accelera la desertificazione, un processo che secondo dati scientifici riguarda ormai ampie porzioni del Meridione. Intervenire con progetti mirati, che mescolano recupero ambientale e sviluppo locale, è una delle poche strategie concrete per rallentare il degrado.
Un modello che può funzionare altrove
L’esperimento condotto a Centuripe rappresenta un caso di studio interessante anche oltre i confini regionali. L’idea di un’impresa privata che investe in agricoltura rigenerativa, legando il risultato produttivo a finalità sociali, è un modello replicabile in altre aree italiane dove i problemi sono simili. Non si tratta di beneficenza tradizionale, ma di un intervento che genera valore ambientale, economico e sociale contemporaneamente.
La partnership tra il Banco Agricolo Popolare di Sicilia e l’azienda agricola Lumacapizzi dimostra che si possono costruire alleanze efficaci quando gli obiettivi sono chiari e misurabili. Gli ulivi non sono semplici piante: sono indicatori di un cambiamento possibile, strumenti per verificare se un territorio può tornare fertile anche dopo anni di abbandono e sfruttamento. Il fatto che producano un olio di qualità certificata IGP conferma che qualità e sostenibilità non sono in contraddizione, nemmeno in condizioni difficili.
Il progetto funziona perché non si limita a piantare alberi, ma costruisce una filiera completa: dalla bonifica del suolo alla cura agronomica, dalla produzione alla distribuzione solidale. Ogni fase è pensata per rafforzare la precedente, creando un sistema che si autoalimenta e che potrebbe essere ampliato se i risultati saranno quelli sperati. Per ora, cinquanta ulivi sono un inizio. Un inizio piantato nel deserto, dove servirebbe una foresta intera.
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