José Antonio Kast ha vinto il ballottaggio presidenziale in Cile con il 58,61% dei voti, sconfiggendo Jeannette Jara e realizzando al terzo tentativo il suo sogno di governo. Una vittoria che segna il ritorno verso politiche conservatrici.
La vittoria schiacciante di Kast
Dopo sei anni di governo progressista e tre decenni dalla fine della dittatura, il Cile ha scelto di virare decisamente verso destra.
José Antonio Kast, candidato del Partito Repubblicano, ha vinto il ballottaggio presidenziale del 14 dicembre scorso con una percentuale schiacciante: il 58,61% delle preferenze contro il 41,39% della sua avversaria Jeannette Jara, esponente della coalizione di sinistra. Lo scarto di quasi venti punti percentuali rappresenta un mandato chiaro e una rottura netta con la fase precedente. Kast, a 59 anni, raggiunge la presidenza al suo terzo tentativo, dopo aver perso nel 2021 contro Gabriel Boric e aver fatto campagna elettorale già in passato.
Questa volta, il contesto politico e le priorità degli elettori hanno giocato a suo favore in modo decisivo. I numeri raccontano una storia di consenso ampio e incontestabile. Con l’83% delle schede scrutinate al momento della dichiarazione dei risultati, Kast ha superato il record di voti ottenuti nella storia dei ballottaggio presidenziali cileni, raccogliendo oltre 4,1 milioni di preferenze e superando il precedente massimo di Sebastián Piñera nel 2017, che si era fermato a 3,796 milioni di voti. Inoltre, la vittoria di Kast rappresenta la seconda più ampia in una ballottaggio della democrazia cilena, preceduta soltanto da quella di Michelle Bachelet nel 2013.
È stata una vittoria geograficamente totalizzante. Il neopresidente ha vinto in tutte e sedici le regioni del Paese, consolidando il consenso su scala nazionale in modo raramente documentato nella storia politica contemporanea.
Quando sicurezza e migrazione guidano il voto
La campagna elettorale è stata dominata da due questioni che hanno concentrato l’attenzione del corpo elettorale come raramente accade: la sicurezza pubblica e l’immigrazione.
Kast ha trasformato questi temi nella leva principale della sua offensiva politica, costruendo una narrativa coerente attorno al concetto di ordine, controllo e autorità dello Stato. Ha promesso il rafforzamento della presenza militare nelle aree ad alto tasso di criminalità, la costruzione di muri di confine per il controllo della migrazione, e ha dato un ultimatum ai migranti irregolari. Novantadue giorni di tempo per lasciare il Paese, calcolati esattamente tra il ballottaggio e l’insediamento previsto per l’11 marzo 2026.
Una promessa provocatoria che ha subito prodotto effetti concreti, scatenando una crisi al confine settentrionale con il Perù, dove centinaia di migranti, principalmente venezuelani, si sono riversati alla ricerca di rifugio.
Una campagna elettorale di promesse
Le proposte più radicali di Kast includono l’istituzione di un “governo di emergenza” finalizzato a concentrare i poteri esecutivi e implementare misure straordinarie contro la delinquenza. Oltre alla creazione di una forza di polizia specializzata sull’espulsione dei migranti, dichiaratamente ispirata all’Immigration Customs Enforcement statunitense.
Ha inoltre promesso tagli drastici alla spesa pubblica e una riorientamento economico verso politiche di stampo neoliberale. Le ricette economiche del presidente eletto si inseriscono in una visione complessiva che privilegia l’intervento securitario rispetto alle politiche sociali redistribitive, invertendo completamente la rotta tracciata dal governo Boric. Tuttavia, la strada verso l’attuazione di queste promesse non è spianata.
Nonostante la vittoria presidenziale, Kast non dispone di una maggioranza automatica in Congresso. Il Senato è diviso equamente tra partiti di sinistra e destra, mentre nella Camera dei deputati il voto decisivo appartiene al Partito Popolare, una forza populista che segue una linea propria.
Il riconoscimento della sconfitta da parte di Jara
Jeannette Jara, comunista e rappresentante della sinistra, ha riconosciuto la sconfitta con rapidità e dignità. Nel corso della notte elettorale, ha affidato ai social il suo messaggio di conciliazione, dichiarando che la democrazia si era espressa “in modo forte e chiaro” e augurando al presidente eletto “successo per il bene del Cile”.
La candidata non ha contestato gli esiti e ha evitato di alimentare tensioni, permettendo una transizione ordinata verso il nuovo governo. Questo atteggiamento responsabile, tuttavia, non cancella il significato politico della débâcle elettorale della sinistra cilena, che solo sei anni prima aveva portato Boric a palazzo con la promessa di riforme radicali e redistribuzione della ricchezza.
La storia, controversa, del nuovo presidente
Kast rappresenta una figura politica controversa nella storia del Cile democratico. Ha infatti il primato storico di essere il primo presidente eletto della democrazia che ha votato a favore di Augusto Pinochet nello storico plebiscito del 1988, quel voto decisivo che fermò il dittatore e aprì la strada al ritorno della democrazia.
Dopo la vittoria elettorale, ha assicurato ai cileni che sarà “il presidente di tutti”, promettendo di governare al di là delle divisioni politiche e degli schieramenti. È la formula retorica classica dei vincitori, ma gli osservatori internazionali attendono di vedere come si tradurrà nella pratica, soprattutto nella gestione dei temi caldi di sicurezza e migrazione, dove la tentazione di politiche punitive potrebbe prevalere sulla ricerca dell’inclusione e della coesione sociale.
Il ciclo politico del Cile
La vittoria di Kast conclude un ciclo politico che aveva avuto inizio con le esplosioni di protesta sociali dell’ottobre 2019. Allora, la decisione del governo di aumentare il prezzo del biglietto della metropolitana di Santiago aveva scatenato manifestazioni di massa che si trasformarono in un movimento di contestazione più ampio. Proteste che proiettarono Boric alla presidenza nel 2021 con una promessa di rinnovamento istituzionale e redistribuzione. Oggi, a soli sei anni di distanza, il pendolo politico cileno ha compiuto un arco straordinario, tornando dall’altra parte dello spettro politico e portando una figura che incarna valori opposti a quelli che animavano le lotte del 2019. Il cambio di rotta rappresenta una smentita delle speranze di trasformazione sociale che avevano guidato un’intera generazione di cileni.
Il Cile si prepara dunque a un esperimento politico che avrà implicazioni non solo sulla scena interna, ma potrebbe influenzare gli equilibri regionali dell’America Latina. Il tutto, in un momento di grande tensione geopolitica e di crescente polarizzazione nei Paesi sudamericani.
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