I biomarcatori scoperti nei più fedeli amici dell’uomo aprono nuove prospettive per i trattamenti antiaging
La conoscenza dell’invecchiamento progredisce grazie a nuove tecnologie, ma gli studi di laboratorio, per quanto utili, non riescono a replicare la varietà genetica e ambientale del mondo reale. Per questo, la ricerca si sta concentrando sull’individuare biomarcatori dell’invecchiamento validi per tutte le persone e per le specie che vivono in natura. Il Dog Aging Project (DAP) nasce proprio per studiare i modelli di invecchiamento nei cani domestici, un sistema complesso perfetto per capire come geni e ambiente influenzano questo processo. Daniel Promislow, coordinatore dello studio, sottolinea come i cani rappresentino un modello ideale proprio perché invecchiano come l’uomo, vivono nei suoi stessi ambienti e ricevono cure simili. Questa vicinanza non è solo fisica ma anche biologica, rendendo i risultati ottenuti su di loro direttamente applicabili all’essere umano.
Il ruolo delle molecole
Nel sangue circolano migliaia di piccole molecole che tracciano costantemente lo stato di salute dell’organismo. I ricercatori della Tufts University di Boston hanno analizzato questi composti nel sangue di circa ottocento cani, scoprendo che il quaranta % cambia con l’età. Tra questi, un gruppo particolare si è rivelato un indicatore affidabile dell’età biologica. Si tratta dei cosiddetti ‘amminoacidi modificati’, i mattoncini delle proteine che si trasformano nel tempo. Questi composti si formano durante la digestione del cibo, grazie ai batteri intestinali, o quando le proteine dell’organismo si degradano. La loro concentrazione nel sangue funziona come un orologio biologico, rivelando non solo l’età anagrafica ma soprattutto la qualità dell’invecchiamento.
Il tempo che passa sul funzionamento dei reni
La scoperta più significativa riguarda il legame tra questi amminoacidi e la funzione renale. I reni svolgono, infatti, il ruolo di filtri dell’organismo, eliminando le sostanze di scarto e mantenendo l’equilibrio interno. Se iniziano a perdere efficienza, gli amminoacidi si accumulano nel sangue, agendo da sentinelle dell’invecchiamento. Monitorare questi biomarcatori potrebbe permettere di individuare precocemente un declino della funzione renale, intervenendo prima che insorgano problemi gravi. Dal momento che i cani invecchiano come gli esseri umani, rappresentano un modello ideale per studiare l’invecchiamento.
Dal laboratorio alla vita reale
Il Dog Aging Project rappresenta un approccio innovativo rispetto alla ricerca tradizionale. Mentre gli studi classici si basano su animali da laboratorio cresciuti in condizioni controllate e uniformi, questo progetto abbraccia la complessità dell’esistenza quotidiana. Gli ottocento cani coinvolti appartengono a razze diverse, vivono in ambienti differenti, hanno storie alimentari e sanitarie uniche. Proprio questa diversità permette di catturare quella variabilità genetica e ambientale che caratterizza la vita di ciascuno. I ricercatori hanno analizzato il metaboloma plasmatico, cioè l’insieme completo delle piccole molecole presenti nel plasma sanguigno, integrandolo con il sequenziamento del genoma e con una mole di dati sulla vita di ciascun animale. Il risultato è una fotografia molto realistica di come l’invecchiamento agisce nei sistemi biologici complessi.
Prospettive per la medicina umana
La speranza dei ricercatori è che questi metaboliti del sangue diventino strumenti efficaci per monitorare i processi verso un invecchiamento sano. Non solo nei cani, ma anche nell’uomo. Un aspetto fondamentale nella geriatria moderna, che non conta più gli anni, ma ne valuta la qualità. L’obiettivo, infatti, non è più semplicemente prolungare la vita ma preservarne la dignità e il benessere. La scoperta di questi biomarcatori nel sangue dei cani apre la strada a una nuova generazione di test diagnostici. L’idea è di utilizzare i prelievi non per fotografare lo stato attuale della salute, ma per prevederne gli sviluppi futuri. Sarebbe così possibile realizzare interventi personalizzati e tempestivi, attraverso strumenti precisi per terapie e supporti personalizzati.
Due specie e un futuro condiviso
La ricerca riconosce che umani e cani condividono molto più di quanto già si sappia: non solo affetto e compagnia, ma anche i meccanismi biologici fondamentali dell’invecchiamento. Accudire un cane anziano, adattare la sua dieta, monitorare la sua salute, andare dal veterinario per controlli regolari, vuol dire praticare quella stessa attenzione riservata alla cura e all’assistenza degli anziani umani. I trattamenti antietà mirati a questi amminoacidi modificati potrebbero dunque beneficiare entrambe le specie, rafforzando il legame ancestrale che le unisce. Dal canto loro, i ricercatori promettono sviluppi concreti: test diagnostici più precoci, terapie personalizzate, strategie preventive basate sui profili metabolici individuali. Ma soprattutto ricordano a tutti che invecchiare bene richiede pazienza, capacità di osservazione e dedizione quotidiana.
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