Lo scrittore racconta il dietro le quinte di L’anniversario, edito da Feltrinelli, in lizza per il Premio Strega
L’anniversario, che dà il titolo al romanzo di Andrea Bajani, non è un compleanno qualsiasi, ma il ricordo di un giorno in cui dieci anni prima un figlio ha lasciato la casa dei suoi genitori per non tornare più, dopo un’infanzia e un’adolescenza segnata da una violenza psicologica sottile e soffocante. Questa è l’occasione per raccontare la sua famiglia, con un padre padrone – come da rituale – e una madre che obbedisce senza un dubbio e ha abdicato alla propria individualità nel momento in cui si è sposata, con un passato cancellato, un presente al servizio della famiglia. L’anniversario (Feltrinelli), che è in lizza per lo Strega, è scritto in maniera dura, lucida, impietosa. Affonda il bisturi nella piaga con parole che colpiscono come dardi. Un libro che fa discutere per i temi che pone. Lo discutiamo con il suo autore, uno dei maggiori narratori degli ultimi anni, quarantanovenne che insegna Scrittura creativa a Houston.
Una prima domanda ‘ingenua’. È la storia della sua famiglia? O non lo è?
È una storia collettiva, che riguarda centinaia di migliaia di famiglie. Quindi il contrario di una storia personale. È la rottura di un tabù. Quello che prevede che qualsiasi rapporto, se violento, possa essere interrotto – persino con il supporto dalla legge – mentre quelli familiari no. Perché stanno dentro l’arcaico, perché nella famiglia vige la legge del sangue.
Lei scrive che la forza totale del romanzo si disinteressa quasi sempre del reale e fornisce sempre il vero.
Il romanzo è quello che mi interessa, come scrittore. Molto più della testimonianza, che si fonda su una distanza di sicurezza tra chi scrive e chi legge: si dà a chi legge il ruolo dello spettatore al sicuro. Gli – o le – si dice: riguarda solo me, leggimi, taci. Il romanzo chiama tutti dentro. Se Flaubert dice “Madame Bovary sono io”, è per dire “Madama Bovary siete voi che leggete”. Questa è la forza del romanzo, il non fondarsi sulla dichiarazione “una storia vera” (laddove per vera si intende reale), per concentrarsi su quel ‘vero’ che si raggiunge con la letteratura, che mescola reale e non reale per toccare l’universale di una condizione umana.
Ma, stando alla sua storia, la famiglia può essere qualcosa che esplode, che non lascia scampo? Oppure quello è un caso limite?
Il narratore de L’anniversario comincia sottraendosi da una in cui non si è sentito al sicuro e conclude formandone una che risponda a criteri differenti. La questione centrale non è dunque la famiglia in sé, ma è quando la famiglia si pone in uno spazio arcaico, fuori legge. In cui se la violenza, fisica e/o psicologica si manifesta, va accettata come tale, perché risponde a una legge non scritta, secondo cui il dominio maschile può avere la violenza come strumento di gestione dell’ordine. La storia che il narratore racconta non è un caso limite, ma è un caso statistico, che però in quanto ‘norma’ di solito non pare degno di nota.
Quella del suo personaggio è una rivolta o una liberazione?
È la rivendicazione di un diritto, il che è molto più semplice per certi versi. E questo è il suo scandalo.
Si può leggere la sua storia all’ombra del patriarcato e del suo regime.
Credo che il movimento del narratore sia rifiutare l’eredità patriarcale. Per questo mi interessava che il narratore fosse un maschio, che discende da un maschio che invece interpreta il proprio ruolo nella famiglia, e nella società, secondo una legge non scritta secondo cui è lui il ‘capo’ famiglia, ha il diritto di istituire appunto un regime, e di assegnare i ruoli agli altri componenti. Dove alla madre, e moglie, spetta lo spazio subordinato dell’invisibilità. Chi racconta, da maschio decide di rifiutare tutto questo, e di restituire, almeno nel racconto, la visibilità alla madre. Da invisibile, la fa protagonista.
Pensa che la forza della letteratura esca indebolita da questa immersione nella scrittura e nella realtà virtuale che ognuno di noi pratica e che è, può essere, una forma di distrazione e di evasione?
La forza della letteratura si rafforza con la letteratura. La nostra è un’epoca virtuale e al contempo iperrealista, di persone inghiottite dallo schermo e città rase al suolo. Per quanto solitario nell’atto di scrivere e di leggere, quello della letteratura è ancora un gesto comunitario.
Lei insegna Scrittura creativa a Houston. Dia un consiglio, una regola per scrivere un romanzo come il suo.
Provare a non scrivere un romanzo come il mio. Trovare il proprio.
Un libro che ha avuto opzioni per la traduzione in 25 paesi. È il tema della famiglia che attrae?
Credo sia la forza del linguaggio, il rigore letterario, il sottrarsi all’effetto, il reclamare complessità senza istituire facili tribunali. E poi, certo, il tabù della famiglia.
Cosa pensa che del suo romanzo direbbe il suo amico Antonio Tabucchi?
Impossibile dirlo. Forse farebbe attenzione alla musica e troverebbe qualche termine impreciso.
Con che animo affronta la ‘battaglia’ dello Strega?
Siamo in un momento di battaglie e guerre tragiche, a qualsiasi latitudine. Per questo il Premio Strega, e tutto ciò che mette al centro la letteratura, non può che essere il contrario, cioè una festa e un’azione civile.
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