Parla lo scrittore e regista, presidente della giuria dei documentari all’ultimo Riviera International Film Festival di Sestri Levante e già vincitore del David di Donatello: «I social andrebbero chiusi, sono luoghi di falsa libertà»
Per Donato Carrisi la realtà è sempre stata fonte di ispirazione. Nei suoi romanzi, da Il suggeritore al più recente La casa dei silenzi, come nei suoi film, non ci sono buoni o cattivi. «La natura umana è imprevedibile. Ci sono persone perbene che possono diventare mostri, o mostri in grado di fare buone azioni», spiega a 50&Più.
All’ultimo Riviera International Film Festival di Sestri Levante, dov’è stato presidente della giuria dei documentari, lo scrittore, sceneggiatore e regista pugliese, classe 1973, ci ha raccontato in che modo prende ispirazione dalla realtà per dare vita ai suoi lavori, di quanto la natura umana possa essere controversa e mostruosa e dei rischi che bisogna correre per fare il suo mestiere.
Carrisi, quanto è importante nel suo lavoro attingere dalla realtà?
La narrazione ha bisogno di essere filtrata dal mondo che ci circonda. I miei romanzi, come i miei film, sono frutto di fantasia, ma si basano sulla credibilità della realtà. Io parto da me stesso per interrogarmi sulla natura umana. Poi mi documento su ciò che siamo in grado di fare.
Perché il male, che lei racconta, ha così presa sul pubblico?
“È il cattivo che fa la storia”, diceva il personaggio interpretato da Alessio Boni ne La ragazza nella nebbia. A me non interessa raccontare il male con la sua violenza. Viviamo in un mondo in cui i buoni possono diventare cattivi e viceversa. Dobbiamo ammettere che la natura umana è contraddittoria, che ognuno può avere un lato oscuro. Lo scrittore statunitense Jeffery Deaver una volta mi disse: “Uccidi tutti i buoni, ma mai i cattivi. Io li tengo tutti in un carcere di massima sicurezza”. Ognuno di noi ha una parte cattiva. Oggi viviamo una spaccatura. Siamo in mezzo a due movimenti culturali. Da una parte, c’è l’esaltazione della cattiveria e di una crudele mostruosità, che vogliamo spacciare per libertà, qualcosa per me di davvero folle. Dall’altra, il dover essere buoni a tutti i costi, anche di fare del male.
I social alimentano le mostruosità?
Andrebbero chiusi, sono luoghi di falsa libertà. Ciò che avviene sui social è il caos, e il caos non genera niente, se non altro caos e odio. Lì le persone vivono di certezze assolute. Ma queste sono assurdità pericolose.
Nel 2018 ha vinto il David di Donatello come “Miglior regista esordiente” per La ragazza nella nebbia. Com’è cambiata la sua carriera da quel momento?
Per me non è stato un punto di arrivo. Pensarlo sarebbe stato un grande errore, anche se umano. Quel riconoscimento mi ha dato la spinta per non ripetermi. Cerco sempre di cambiare argomento nei film che faccio e nei romanzi che scrivo. Bisogna rischiare in questo mestiere.
Ora sta lavorando a un nuovo libro. Cosa dobbiamo aspettarci?
Di tutto. È come camminare per strada in un luogo deserto, di notte, al buio. Così bisogna attendere i miei romanzi.
Sta anche pensando a un quarto film per il cinema?
Mi sto prendendo del tempo, in realtà. La mia seconda regia, L’uomo del labirinto, è arrivata due anni dopo la prima. L’ho fatta troppo presto, facendomi travolgere dall’entusiasmo. Nonostante abbia avuto un buon riscontro, avevo bisogno di metabolizzare meglio delle cose. Così, dopo aver realizzato nel 2022 Io sono l’abisso, ho deciso di rallentare con il cinema, per dedicarmi di più alla scrittura.
Questo è anche un periodo particolare per la sala.
Direi molto strano. Ciò che sta cambiando in maniera radicale è il pubblico. E i soldi sono anche pochi. Se prima avevi un’idea degli spettatori a cui destinare una storia, oggi è difficile saperlo. C’è stata una metamorfosi. Credo anche che il cinema debba tornare a rischiare nei generi, ad esempio facendo più thriller, che sono quelli che realizzo io.
La serialità le interessa?
Mi piace. Ho trovato delle serie molto belle per la loro potenza narrativa. Ma per farle bisogna immergersi in una preparazione che ti può portare via anni e non so se ho il tempo. C’è anche il rischio che possa annoiarmi, aspettando così tanto prima di vedere la luce di un progetto.
Quale attore o attrice le piacerebbe dirigere?
Sono riuscito a convincere Dustin Hoffman a fare L’uomo del labirinto quando aveva deciso di ritirarsi dalle scene. Un nome su cui fantasticare sarebbe Jack Nicholson. Ma pensando a qualcuno di più concreto, vorrei lavorare con Luca Marinelli. Un mio sogno sarebbe anche Paola Cortellesi. Secondo me, ha un’anima thriller che deve ancora scoprire. Ma nel frattempo deve continuare a fare film potenti come C’è ancora domani. Ha saputo realizzare qualcosa di impossibile, un film che parla di come è cambiata la sensibilità nei confronti delle donne e dell’uomo prevaricatore. Ci deve essere un movimento che dal basso si alimenta e questo si può fare raccontando storie.
E lei quando ha iniziato a rimanere affiocato dalle storie?
Mia madre era un’insegnante e quando ero in conflitto con lei mi faceva vedere un film o leggere un libro. Ricordo che per spiegarmi come non diventare un nazista vedemmo insieme Schindler’s List di Spielberg.
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