Una ricerca italiana dimostra che la variante genetica Lav-Bpifb4, presente nelle persone più longeve, può contrastare i danni cardiovascolari nella sindrome di Hutchinson-Gilford, nota come progeria. I risultati aprono prospettive per nuove terapie contro l’invecchiamento precoce.
La proteina della longevità che protegge il cuore
La scienza della longevità potrebbe offrire una chiave inaspettata per combattere una delle malattie più crudeli: la progeria. Un gruppo di ricercatori dell’Irccs MultiMedica di Milano, insieme ai colleghi dell’università di Bristol, ha dimostrato per la prima volta che un gene tipico dei centenari riesce a proteggere il cuore e altri organi dai devastanti effetti della sindrome di Hutchinson-Gilford.
Si tratta della variante genetica Lav-Bpifb4, una sorta di scudo molecolare che le persone più longeve portano naturalmente nel loro DNA. Lo studio, coordinato da Annibale Puca e Paolo Madeddu e pubblicato sulla rivista Signal Transduction and Targeted Therapy, ha analizzato gli effetti di questo gene su modelli animali e cellule di pazienti affetti da progeria.
I risultati sono stati finanziati dal Medical Research Council britannico e dal ministero della Salute italiano, e rappresentano un passo avanti significativo nella comprensione di come i meccanismi della longevità possano essere sfruttati contro malattie rare.
Quando il corpo invecchia troppo in fretta
La progeria colpisce un bambino su quattro milioni di nati. Chi ne soffre vede il proprio corpo invecchiare a una velocità otto volte superiore al normale.
A dieci anni presenta già segni tipici della vecchiaia, come perdita di capelli, pelle sottile, problemi articolari e soprattutto gravi danni cardiovascolari. L’aspettativa di vita media si ferma intorno ai 14-15 anni, proprio a causa delle complicanze al cuore e alle arterie.
Il caso di Sammy Basso, biologo e attivista vicentino scomparso nel 2024 all’età di 28 anni, ha fatto conoscere questa malattia a milioni di persone. La sua eccezionale longevità rispetto alla media dei pazienti con progeria ha rappresentato un’anomalia scientifica che continua a stimolare la ricerca. La causa della sindrome è una mutazione del gene Lmna, che produce una proteina tossica chiamata progerina. Questa sostanza danneggia il nucleo delle cellule e accelera tutti i processi di invecchiamento dell’organismo. Oggi esiste un solo farmaco approvato, il lonafarnib, che riduce la produzione di progerina, mentre un secondo medicinale, il progerinin, è in fase di sperimentazione clinica.
I test sui topi e sulle cellule umane
I ricercatori hanno testato il gene Lav-Bpifb4 su topi con progeria attraverso una terapia genica. E i risultati hanno superato le aspettative. Gli animali trattati hanno mostrato un miglioramento della funzione diastolica del cuore, cioè la capacità del muscolo cardiaco di rilassarsi e riempirsi di sangue tra un battito e l’altro.
La vascolarizzazione cardiaca è aumentata, mentre si è ridotta la fibrosi perivascolare, quella sorta di cicatrizzazione dei tessuti che irrigidisce i vasi sanguigni. Anche il fegato ha mostrato meno segni di invecchiamento cellulare, e i topi hanno recuperato peso corporeo.
Ma la vera svolta è arrivata quando gli scienziati hanno replicato gli esperimenti su cellule umane. Monica Cattaneo, ricercatrice di MultiMedica, ha lavorato con fibroblasti del derma prelevati da pazienti con progeria. Queste cellule presentavano livelli molto bassi della proteina Bpifb4, suggerendo un suo ruolo nella malattia. Quando i ricercatori hanno introdotto la variante protettiva Lav-Bpifb4, i segni di fibrosi e senescenza cellulare sono diminuiti in modo significativo. Un dato che rafforza la possibilità di trasferire questo approccio terapeutico dall’animale all’uomo.
Un cocktail di geni contro l’età
Lo studio rappresenta il primo caso documentato in cui un gene associato alla longevità contrasta i danni cardiovascolari della progeria.
Per Annibale Puca, che guida il gruppo di ricerca a MultiMedica ed è anche preside della Facoltà di Medicina dell’università di Salerno, si aprono scenari terapeutici completamente nuovi. La progeria ha urgente bisogno di farmaci innovativi, capaci non solo di allungare la vita dei pazienti ma anche di migliorarne la qualità. La terapia genica potrebbe essere affiancata o sostituita da nuovi metodi di somministrazione basati direttamente sulla proteina o sull’RNA, rendendo il trattamento più accessibile e sicuro. Il gruppo di ricerca sta già esplorando il potenziale della Lav-Bpifb4 in altre condizioni patologiche caratterizzate dal deterioramento cardiovascolare e immunitario, con l’obiettivo finale di trasformare questi risultati sperimentali in un vero farmaco biologico.
Paolo Madeddu, professore emerito dell’università di Bristol, ha sottolineato l’originalità dell’approccio. Due geni con funzioni opposte nell’invecchiamento – uno che lo accelera (Lmna mutato) e uno che lo rallenta (Lav-Bpifb4) – possono interagire a livello molecolare attenuando i segni patologici. Questa scoperta suggerisce che i geni protettivi dei centenari potrebbero essere combinati in un vero e proprio cocktail terapeutico contro l’invecchiamento precoce.
A differenza di altre strategie che cercano di correggere specifiche alterazioni genetiche, questo metodo sfrutta la “saggezza” del genoma delle persone più longeve per creare prodotti biologici ad ampio spettro.
© Riproduzione riservata