Chiara, Arianna, Gregorio e Paolo hanno finito la maturità e ripensano agli anni passati tra i banchi. Forti della loro esperienza, disegnano il modello perfetto per i giovani
L’anno scolastico è ormai archiviato, ma non è troppo presto per pensare al prossimo: alla scuola che i ragazzi troveranno ad accoglierli, ma anche a quella che vorrebbero trovare. Perché i ragazzi e le ragazze la vorrebbero un po’ diversa, questa scuola: e le loro idee in proposito sono in certi casi sorprendentemente chiare. Chiara, Arianna, Gregorio e Paolo dalla scuola sono appena usciti: hanno superato nelle scorse settimane l’esame di maturità e iniziano a immaginare il futuro. Proprio a loro abbiamo chiesto lo sforzo di ripensare all’esperienza appena conclusa, ai 13 anni di scuola (16, in verità, perché tutti loro hanno frequentato anche la Scuola dell’Infanzia). E più che soffermarsi sui ricordi, su ciò che mancherà e ciò che invece non rimpiangeranno, li abbiamo invitati a immaginare la scuola che vorrebbero per chi verrà dopo di loro: quella che non si potrà avere certamente a settembre, ma che forse, ascoltando i ragazzi e le ragazze – come più spesso gli adulti dovrebbero fare – potrebbe diventare la scuola di domani. Perché quella di oggi ha tanto da migliorare.
Primo: più fiducia da parte degli adulti
«Ho sofferto molto per il rispetto da parte di alcuni prof nei nostri riguardi, soprattutto verso chi non ha bei voti – racconta Chiara -. Un esempio? Durante l’autogestione, ho invitato mia sorella a tenere un corso sulla violenza di genere. Abbiamo disegnato su un cartellone un iceberg, dividendolo a metà e abbiamo indicato quali fossero i crimini femminili più gravi e quali meno. Ho pensato poi di appendere il cartellone in classe. Le reazioni di alcuni professori mi hanno dato molto fastidio, specialmente quella del mio prof di italiano, che lo ha definito “brutto e fatto male”, solo perché non riusciva a leggere quello che c’era scritto sopra». Può sembrare un fatto da poco, ma per una ragazza che cerca di portare il proprio mondo dentro la scuola, è una delusione che ha il sapore del disprezzo e del rifiuto: nella scuola del futuro, quindi, “i professori dovrebbero cambiare atteggiamento, perché più un insegnante è aperto e dà fiducia ai propri ragazzi, più loro avranno fiducia e rispetto verso di lui e verso ciò che insegna”.
Anche per Arianna è soprattutto l’approccio degli adulti verso i ragazzi che deve cambiare: «I pregiudizi e le aspettative dei professori pesano tanto sullo stato d’animo dei ragazzi: non solo i pregiudizi negativi verso chi non va bene, ma anche le aspettative positive verso i bravi. La motivazione personale dell’alunno si trasforma così in un desiderio e una ricerca continua di accettazione e approvazione». E questa ricerca si scontra troppe volte con «il disinteresse nei confronti degli studenti meritevoli, delle eccellenze. C’è poca valorizzazione delle menti brillanti, sembra ci sia quasi un sadico piacere nell’ostacolare i ragazzi – riferisce Paolo -. Vorrei consigliare a docenti e dirigenti di dare più importanza alla voce dei ragazzi, ben oltre il ‘contentino’ della cogestione o l’occupazione: l’educatore deve mettersi nei panni di noi studenti, che troppo spesso subiamo invece l’atteggiamento apatico e poco umano dei docenti».
Secondo, meno burocrazia
La scuola che i ragazzi vorrebbero, quindi, è una scuola in cui lo sguardo dell’adulto verso il giovane sia meno giudicante e più curioso, disponibile e pronto a cambiare opinione, a costruire un nuovo punto di vista insieme agli studenti. Ma è anche una scuola – e forse i due aspetti si intrecciano tra loro – meno rigida e formale; in altre parole, una scuola meno burocratica, come sostiene Gregorio: «L’aspetto che più mi ha fatto arrabbiare della scuola, che si è fatto sentire per tutti e cinque gli anni (ma in modo più accentuato negli ultimi), è stato vedere la scuola diventare anche lei bersaglio di tutte quelle iniziative burocratiche che prima erano circoscritte ad altri campi, risparmiando il mondo scolastico. Mi riferisco in particolare al Pcto (Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento), al ‘capolavoro’ e tutte quelle piattaforme a cui bisogna iscriversi senza sapere neanche cosa siano. Prima la scuola era un luogo in cui il professore formava i suoi studenti alla vita. Ora è diventata un percorso con dei passaggi che bisogna spuntare. Ho l’impressione che tutte queste attività corrispondano ad un preciso intento: rendere la scuola un mercato. L’unica formazione per noi studenti è l’insegnamento che viene dai professori».
Terzo: più laboratori e sport
Cambiato lo sguardo dei professori e l’organizzazione formale della scuola, occorrerebbe poi mettere mano alla didattica, provando a introdurre alcune novità, di cui i ragazzi oggi sentono la necessità: «Cambierei l’assetto esclusivamente didattico della scuola, ma soprattutto il sistema limitante e limitato, che non permette la libera iniziativa dello studente nel suo percorso liceale – suggerisce Arianna -. Creerei più opportunità aperte e laboratoriali, così come più momenti di dialogo con gli insegnanti». Anche Chiara propone «ore di laboratorio scientifico, per far sì che lo studente riesca a capire meglio le cose vedendole e studiandole ‘dal vivo’ e non solo sui libri. Per Paolo, infine, «c’è l’impellente bisogno di evolvere le lezioni dei docenti, passando da un metodo frontale e nozionistico a uno più interattivo e pratico. In più, soprattutto in Italia, è fondamentale incrementare la pratica sportiva ed educare gli studenti a un corpo sano e prestante, insegnando a competere, a perdere e a rispettare gli avversari. Mens sana in corpore sano: lo dicevano gli antichi che studiamo a scuola. Ma la scuola sembra non saperlo ‘tradurre’ in realtà».
Quarto: la Costituzione a tutti
E poi bisognerebbe dare la Costituzione a tutti gli studenti maggiorenni, affinché prendano in modo più serio la nostra società. Ed eliminerei il ‘capolavoro’, che è completamente inutile ma oggi necessario per l’ammissione all’esame!».
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