Nuove ricerche riscrivono la storia dell’evoluzione svelando abitudini alimentari inaspettate dei nostri antichi cugini
L’immagine tradizionale dei Neanderthal è quella di robusti cacciatori intenti a divorare enormi bistecche di mammut. Ma la realtà è molto più complessa e sorprendente. Recenti studi scientifici stanno infatti rivoluzionando la comprensione delle abitudini alimentari di questa specie umana affine al Sapiens vissuta tra i 200mila e i 30mila anni fa, rivelando dettagli che mostrano il loro grado di resilienza e intelligenza. La questione dell’alimentazione neanderthaliana ha da sempre affascinato ricercatori e appassionati di preistoria, rimanendo avvolta nel mistero. Ora, grazie a innovative tecniche di analisi isotopica, gli scienziati stanno dipingendo un quadro completamente nuovo della loro dieta quotidiana.
Un puzzle da risolvere
L’antropologa Melanie Beasley della Purdue University ha dedicato anni allo studio delle abitudini alimentari dei Neanderthal, utilizzando sofisticate analisi degli isotopi presenti nelle loro ossa e nei denti fossilizzati. Il metodo principale consiste nell’esaminare i rapporti tra diversi isotopi, in particolare azoto 15 e azoto 14, presenti nel collagene osseo. “Quanto più elevato è questo rapporto, tanto maggiore risulta il consumo di fonti animali”, spiega Beasley nel suo studio pubblicato su Science Advances. Tuttavia, i dati raccolti sui Neanderthal inizialmente presentavano un’anomalia: i livelli isotopici erano molto più alti di quanto ci si aspetterebbe anche per una dieta esclusivamente carnivora. Il mistero si infittiva poi quando i ricercatori confrontavano questi valori con quelli di altri predatori dell’epoca. I Neanderthal mostravano concentrazioni isotopiche che facevano ‘saltare’ la normale progressione della catena alimentare, suggerendo un tipo di alimentazione completamente diverso da quello immaginato finora.
La teoria delle larve: una spiegazione rivoluzionaria
La svolta è arrivata quando Beasley e la sua squadra hanno iniziato a considerare fonti alimentari alternative. La loro ipotesi propone che i Neanderthal consumassero regolarmente larve di mosche cresciute su carne in decomposizione. Questa teoria, per quanto possa sembrare strana, ha solide basi scientifiche. Le ricerche nell’ambito dell’antropologia forense hanno dimostrato, infatti, che le larve che si sviluppano su tessuti animali in putrefazione raggiungono concentrazioni isotopiche elevatissime. Il processo di decomposizione arricchisce infatti la materia organica di azoto 15, che viene poi accumulato dai vermi. “I vermi che crescono su materia organica in putrefazione raggiungono valori di rapporti isotopici circa quattro volte superiori a quelli degli erbivori del Pleistocene”, sottolinea l’antropologa. Questa scoperta offre finalmente una spiegazione plausibile per le anomalie isotopiche osservate nei resti neanderthaliani.
Tradizioni culinarie diverse tra gruppi vicini
Un altro aspetto affascinante emerso dalle ricerche riguarda la variabilità delle abitudini alimentari dei Neanderthal tra diversi gruppi. Uno studio recente sulla macellazione della carne ha rivelato che popolazioni anche geograficamente vicine sviluppavano tradizioni culinarie distinte. L’analisi dei segni di taglio sulle ossa animali rinvenute nelle grotte neanderthaliane mostra infatti tecniche di lavorazione differenti. Ogni famiglia o gruppo sembrava avere sviluppato metodi propri per sezionare e preparare le prede, creando una sorta di ‘cucina locale’ preistorica. Questa diversificazione culturale suggerisce che i Neanderthal non fossero semplici cacciatori-raccoglitori guidati solo dall’istinto, ma possedessero tradizioni trasmesse di generazione in generazione, proprio come accade nelle società umane moderne.
Una dieta più varia del previsto
Ma cosa mangiavano esattamente i nostri progenitori? Accanto alla carne di grandi mammiferi come mufloni, renne e rinoceronti lanosi, i Neanderthal consumavano anche funghi, pinoli e persino muschio. Questa varietà dietetica dimostra una notevole capacità di adattamento ambientale e una conoscenza approfondita delle risorse disponibili. La flessibilità alimentare rappresentava probabilmente un vantaggio evolutivo fondamentale, permettendo ai Neanderthal di sopravvivere in ambienti molto diversi e durante i cambiamenti climatici del Pleistocene. Tuttavia, questa stessa flessibilità rendeva difficile per i paleontologi ricostruire con precisione le loro abitudini nutrizionali.
Limiti fisiologici e strategie di sopravvivenza
Un dato interessante emerso dalle ricerche riguarda i limiti fisiologici del consumo di carne. Secondo i calcoli degli scienziati, un maschio neanderthaliano non avrebbe potuto consumare più di 300 grammi di carne al giorno senza rischiare problemi di salute. Questo dato esclude definitivamente l’ipotesi di una dieta ipercarnivora estrema. La teoria delle larve risolve però questo paradosso. Per i ricercatori il consumo di vermi arricchiti di azoto 15, insieme a tessuti animali grassi e stomaci contenenti cibo fermentato, permetteva di raggiungere gli elevati valori isotopici osservati senza eccedere nei limiti fisiologici del consumo di carne fresca. Peraltro non sempre facile da reperire in un ambiente ostile.
Confronti etnografici e conferme moderne
Per supportare la loro ipotesi, i ricercatori hanno studiato le abitudini alimentari di popolazioni moderne che vivono ancora in condizioni simili a quelle dei Neanderthal. Questi confronti etnografici rivelano che il consumo di larve e insetti rimane comune in molte culture, spesso considerato una prelibatezza ricca di proteine. “Pensiamo che gli elevati valori nel rapporto tra azoto 15 e azoto 14 osservati nei Neanderthal riflettano il consumo abituale di tessuti animali grassi e di stomaci con cibo fermentato, in gran parte in stato semi-putrido o putrido, insieme all’inevitabile bonus di consumare vermi arricchiti di azoto 15, sia vivi che morti”, conclude la dottoressa Beasley.
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