Il mancato accordo al Congresso tra repubblicani di Trump e democratici paralizza l’amministrazione federale. Centinaia di migliaia di lavoratori restano senza stipendio mentre i servizi pubblici subiscono pesanti restrizioni. Una crisi politica che riporta l’America indietro nel tempo.
Dopo lo scontro politico lo shutdown è ufficiale
Alla mezzanotte di martedì 30 settembre, gli Stati Uniti sono entrati ufficialmente in shutdown, il blocco dei finanziamenti federali che congela una parte consistente dell’amministrazione pubblica. È la prima volta dal 2018 che il governo americano si ferma a causa dell’incapacità del Congresso di approvare una legge di bilancio. Al momento, non si intravede una soluzione rapida all’impasse.
Lo scontro tra i repubblicani dell’amministrazione Trump e l’opposizione democratica guidata dal leader della minoranza al Senato Chuck Schumer ha provocato una crisi istituzionale che rischia di prolungarsi nel tempo, con conseguenze concrete per milioni di americani. Il punto di rottura riguarda principalmente le questioni legate alla spesa sanitaria, su cui le due parti non hanno trovato alcuna mediazione.
Quando il Congresso non trova l’accordo
Ma cosa significa esattamente shutdown? Il termine, che letteralmente significa “chiusura”, indica il blocco delle attività amministrative federali previsto dall’Antideficiency Act, una legge che si fonda su un principio costituzionale chiaro: il governo può spendere soldi pubblici solo se il Congresso li ha preventivamente autorizzati. Quando Camera e Senato non riescono ad approvare una legge di bilancio entro la scadenza dell’anno fiscale, l’amministrazione federale si blocca automaticamente.
Succede solo negli Stati Uniti, dove il sistema dei pesi e contrappesi tra potere esecutivo e legislativo può generare paralisi quando le forze politiche si rifiutano di scendere a compromessi. In teoria, i parlamentari potrebbero approvare una legge ponte temporanea, il cosiddetto “stopgap bill”, che consentirebbe al governo di continuare a operare per alcune settimane o mesi. Ma nella pratica, lo shutdown diventa spesso un’arma di pressione politica nelle battaglie più accese tra i partiti.
Chi lavora e chi resta a casa
Durante uno shutdown non tutto si ferma. Il governo divide i suoi quattro milioni di dipendenti federali in due categorie: i lavoratori “essenziali” e quelli “non essenziali”. I primi devono continuare a prestare servizio anche senza ricevere lo stipendio, almeno fino alla risoluzione della crisi. Tra questi ci sono gli agenti della sicurezza aeroportuale, i controllori di volo, i membri delle forze armate, il personale delle carceri federali, gli ispettori della sicurezza alimentare e i medici degli ospedali pubblici. I secondi vengono messi in congedo forzato non retribuito, il cosiddetto “furlough”. Si stima che in questo shutdown fino a 750.000 dipendenti federali possano trovarsi senza lavoro e senza salario. Musei federali, parchi nazionali, uffici amministrativi e molte agenzie governative riducono drasticamente le loro attività o chiudono del tutto. I servizi che non dipendono da stanziamenti annuali del Congresso, come la previdenza sociale e Medicare, continuano invece a funzionare normalmente perché hanno fonti di finanziamento separate.
Donald Trump ha già ammesso che lo stallo comporterà licenziamenti significativi tra i dipendenti pubblici, scaricando la responsabilità sui democratici. Il presidente ha dichiarato che non ci sono alternative, mentre l’opposizione accusa la Casa Bianca e i repubblicani del Congresso di aver provocato la crisi rifiutando ogni compromesso sulla spesa sanitaria.
I sindacati dei lavoratori federali hanno già annunciato azioni legali contro l’amministrazione, contestando la gestione della crisi e la mancata protezione dei diritti dei dipendenti. La tensione politica è altissima, con entrambi gli schieramenti che si accusano reciprocamente di sabotare il funzionamento dello Stato per motivi ideologici.
Il peso economico di un governo fermo
Ma lo shutdown non è solo una questione politica o burocratica: ha un costo economico reale per il Paese. Quello del 2018-2019, durato 35 giorni (scatenato proprio da Trump durante il suo primo mandato per ottenere fondi per il muro al confine con il Messico), costò all’economia americana almeno 11 miliardi di dollari secondo le stime del Congressional Budget Office. La perdita di produttività dei servizi pubblici si traduce in una riduzione diretta del prodotto interno lordo, mentre i dipendenti federali senza stipendio tagliano drasticamente i consumi, generando un effetto a catena su commercio e servizi.
Una situazione che paradossalmente non fa risparmiare denaro al governo. I dipendenti sospesi ricevono comunque gli stipendi arretrati una volta risolto lo stallo, e si aggiungono penali su interessi non pagati, oltre alle mancate entrate da parchi, monumenti e altre strutture federali chiuse al pubblico. Il blocco, infatti, impatta sul 27% della spesa pubblica federale, una cifra significativa che impatta direttamente sulla capacità del governo di erogare servizi. Molti programmi di assistenza sociale vengono rallentati o sospesi, le attività di controllo ambientale e sanitario si riducono, e le procedure amministrative si bloccano, creando disagi a cittadini e imprese che attendono permessi, certificazioni o rimborsi. Le conseguenze si fanno sentire soprattutto nelle comunità più dipendenti dai servizi federali e tra le fasce di popolazione più fragili.
La storia americana conta numerose situazioni come quella attuale. Otto durante la presidenza Reagan, due sotto Bill Clinton negli anni Novanta (una dei quali durò 21 giorni), una di 16 giorni nel 2013 sotto Obama per il mancato accordo sulla riforma sanitaria, e quello record del 2018-2019. E ogni volta, gli Stati Uniti pagano un prezzo in termini di efficienza, credibilità e coesione sociale.
Una crisi dalle radici profonde
Lo shutdown di ottobre 2025 arriva in un momento di forte polarizzazione politica americana. L’incontro alla Casa Bianca tra i leader del Congresso e il presidente Trump, tenutosi lunedì sera, non ha prodotto alcun risultato concreto. Il vicepresidente JD Vance ha confermato che le posizioni restano distanti e che i repubblicani ritengono sia responsabilità di Schumer e dei democratici al Senato sbloccare la situazione. L’opposizione replica che l’amministrazione ha presentato richieste inaccettabili sulla sanità pubblica, rifiutando ogni mediazione.
La situazione di stallo fiscale continua, ma a pagare saranno i cittadini comuni e i dipendenti pubblici che si trovano ostaggio di uno scontro che prescinde dalle loro esigenze.
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