I dati dell’ultimo Rapporto Giovani, curato da Ipsos per l’Osservatorio dell’Istituto Toniolo, fotografano il complesso rapporto tra le nuove generazioni e le istituzioni. Emerge un interesse potenziale che si scontra con la sfiducia verso i partiti e la sensazione di essere inascoltati su temi prioritari, primo fra tutti l’ambiente.
Giovani e politica, un rapporto di odio e amore
Descriverli come apatici, disinteressati alla cosa pubblica o, peggio, scollegati dalla realtà, è un errore tanto comune quanto superficiale. La fotografia del rapporto tra i giovani italiani e la politica, scattata dall’ultimo Rapporto Giovani, curato da Ipsos e promosso dall’Osservatorio dell’Istituto Toniolo, rivela un universo molto più sfaccettato e complesso di quanto i luoghi comuni suggeriscano. Un mondo dove l’interesse potenziale non manca, ma si scontra con un muro di sfiducia e la sensazione di non avere voce in capitolo.
I dati del Rapporto
I dati parlano chiaro e scardinano subito un primo stereotipo. Per la stragrande maggioranza dei ragazzi tra i 18 e i 34 anni, ben il 75,4%, la politica potrebbe essere uno strumento efficace per migliorare concretamente la vita delle persone. Questa percentuale sale addirittura al 76,6% quando si ipotizza un’offerta di reali spazi di partecipazione.
Eppure, solo il 37,8% degli intervistati ritiene che questi spazi oggi esistano davvero. Nonostante tutto, oltre la metà del campione (53,4%) assegna un voto superiore alla sufficienza al proprio interesse per la politica.
Un segnale inequivocabile che la porta non è chiusa, ma che i giovani attendono di essere presi sul serio.
La sfiducia verso i partiti e la vicinanza degli enti locali
Il vero nodo critico emerge analizzando i livelli di fiducia verso le istituzioni. Il dato più allarmante riguarda i partiti politici, che raccolgono la fiducia di appena il 31,6% dei giovani.
Una cifra che testimonia una distanza profonda, quasi una frattura. La percezione, ampiamente condivisa, è quella di una politica nazionale “lontana”, incapace di incidere sulla quotidianità. A metà classifica si posizionano il Governo (35,3%), la Camera (35,2%) e il Senato (34,8%).
Un quadro diverso, invece, si delinea a livello locale. I Comuni (44,9%) e le Regioni (44,1%) godono di una fiducia sensibilmente maggiore. Questo scarto si spiega facilmente: la politica di prossimità appare più tangibile, i suoi effetti più visibili e il dialogo con gli amministratori, almeno in teoria, più diretto.
Come spiega Alessandro Rosina, uno dei curatori del rapporto, i giovani si avvicinano quando la politica stessa si fa più vicina e offre riscontri concreti. C’è anche una nota di ottimismo guardando all’Europa: quasi il 60% degli under 30 italiani dichiara piena fiducia nell’Unione Europea, e il Parlamento Europeo è una delle istituzioni più apprezzate.
Il voto: da rito a strumento selettivo
Questa disaffezione si riflette inevitabilmente sull’atto del voto. Lungi dall’essere considerato un dovere civico inscalfibile, per le nuove generazioni il voto è diventato uno strumento da valutare di volta in volta, il cui valore dipende strettamente dall’offerta politica e dalla rilevanza della specifica consultazione. Solo un giovane su quattro (il 26,5%) afferma che votare sia sempre e comunque importante.
Questa percentuale, però, non è uniforme. Sale tra i laureati (30,2%) e le donne (28%), segmenti della popolazione che, forti di maggiori risorse culturali, mostrano una volontà più spiccata di contribuire a plasmare il futuro. Al contrario, la sfiducia è più marcata tra chi ha un livello di istruzione più basso o vive in condizioni di marginalità. Questi giovani, sentendosi impotenti e inascoltati, sono più propensi a credere che il loro voto non possa fare la differenza. L’astensionismo giovanile, come visto anche nelle recenti elezioni europee, diventa così un sintomo di questa distanza.
Le nuove priorità dei giovani sulla politica
Ma quali sono i temi che potrebbero spingere i giovani a recarsi alle urne? La risposta è netta e definisce un’agenda chiara. Al primo posto, con il 15,7% delle preferenze, si colloca la lotta al cambiamento climatico. Un dato confermato anche da altri studi, secondo cui per il 46% dei giovani italiani l’ambiente è una delle tre priorità assolute per l’UE, una percentuale di 13 punti superiore alla media europea. Subito dopo viene l’accesso al mondo del lavoro (13,8%), una preoccupazione che, per le fasce più vulnerabili, finisce per oscurare l’attenzione su altre tematiche.
Seguono le politiche fiscali (13,6%) e quelle sui rapporti di genere (12,8%). Fanalini di coda, invece, sono la politica estera (6,3%) e la gestione dei conflitti internazionali (6,1%). Questo apparente disinteresse per le questioni geopolitiche non va letto come superficialità.
Secondo il professor Rosina, i giovani sono proiettati sulle sfide del ventunesimo secolo, quelle su cui sentono di poter incidere positivamente. I conflitti, al contrario, vengono percepiti come un’eredità negativa del Novecento, che l’attuale classe politica non riesce a risolvere, ragionando ancora con schemi superati.
Un problema di rappresentanza e di spazio
Alla radice del problema vi è una duplice crisi: di rappresentanza e di rilevanza.
I giovani non si sentono rappresentati perché, di fatto, lo sono pochissimo. Il numero di eletti under 35 è in calo drastico e l’Italia ha una delle soglie più alte in Europa per essere eletti (25 anni). Questa assenza fisica nei palazzi del potere si somma alla debolezza demografica: le nuove generazioni sono numericamente inferiori rispetto alle fasce più anziane della popolazione, il cui peso elettorale finisce per orientare le decisioni collettive.
Eppure, la disaffezione non è un sentimento che appartiene solo ai più giovani. Anche tra la popolazione più matura si avverte un distacco, un legame con le istituzioni che, come evidenziato nell’approfondimento di 50&Più dello scorso gennaio, appare anch’esso “da ricostruire”.
Il rischio, concreto e attuale, è che i giovani si sentano irrilevanti. Se le loro istanze, le loro idee e le loro priorità non trovano ascolto e non si traducono in azioni politiche, la tentazione di cercare un futuro altrove diventa forte. Non è un caso che molti giovani qualificati scelgano di emigrare. La politica, quindi, non deve solo offrire spazi, ma deve dimostrare di volerli riempire con le loro proposte.
La questione posta dal Rapporto, in definitiva, non è se i giovani siano interessati alla politica, ma se la politica sia interessata ai giovani. L’apatia non è la causa, ma la conseguenza di un sistema politico che appare sordo, distante e concentrato su paradigmi del passato.
Per invertire la rotta – suggerisce il professor Rosina – serve un messaggio forte e chiaro da parte della classe dirigente. Il futuro dell’Italia si costruisce con le idee e le energie delle nuove generazioni, dando loro il potere di imprimere una direzione nuova al sistema-paese.
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