Approvato il testo che introduce il delitto di femminicidio come fattispecie autonoma nel Codice Penale. Prevista la pena massima, una definizione più ampia del reato e un fondo da 10 milioni per gli orfani delle vittime.
Una decisione bipartisan
Con un’approvazione unanime, che ha visto 161 voti favorevoli su 161 presenti, il Senato ha dato il via libera al disegno di legge che istituisce il reato autonomo di femminicidio. La notizia, accolta da un applauso bipartisan nell’aula di Palazzo Madama, segna un punto di non ritorno nel contrasto alla violenza di genere, introducendo la pena dell’ergastolo e codificando per la prima volta le motivazioni specifiche che trasformano un omicidio in un femminicidio. Il provvedimento passa ora alla Camera per la ratifica definitiva. Il Presidente del Senato La Russa, ha espresso grande soddisfazione, sottolineando come l’assemblea abbia dimostrato di sapersi unire senza distinzioni partitiche su temi di cruciale importanza. Sulla stessa linea anche la premier Giorgia Meloni, che ha evidenziato come l’Italia si ponga tra le prime nazioni a intraprendere questo percorso, nella convinzione che possa contribuire a combattere una “piaga intollerabile”.
Il cammino della legge, però, non è stato privo di ostacoli. Inizialmente, le opposizioni avevano manifestato il timore di un approccio puramente “panpenalistico”, ma il dialogo in Commissione Giustizia ha permesso di raggiungere un testo condiviso e più forte.
Cosa cambia con la nuova legge sul femminicidio
Il cuore della nuova legge è l’introduzione dell’articolo 577-bis nel Codice Penale. Questa nuova norma definisce in modo circostanziato il reato e stabilisce la pena dell’ergastolo per chiunque cagioni la morte di una donna qualora il fatto sia commesso “con atti di discriminazione o di odio verso la vittima in quanto donna”, oppure per reprimere l’esercizio dei suoi diritti e della sua libertà.
La modifica più significativa, frutto del dibattito parlamentare, ha ampliato questa definizione includendo un aspetto fondamentale, spesso al centro delle cronache: il rifiuto della donna di “stabilire o mantenere una relazione affettiva”. Il perimetro del reato si estende anche a chi uccide per imporre una “condizione di soggezione o comunque una limitazione delle libertà individuali” della vittima.
La norma, inoltre, include una tutela esplicita per chi, pur non essendolo anagraficamente, si percepisce come donna. Accanto alla nuova fattispecie di reato, il ddl rafforza anche le aggravanti per reati connessi come i maltrattamenti in famiglia, lo stalking e le lesioni personali, nel tentativo di superare una logica emergenziale e riconoscere la natura strutturale e sistemica della violenza di genere.
Sostegno agli orfani e le misure correlate
Un capitolo fondamentale del nuovo impianto normativo è dedicato al sostegno concreto per le vittime collaterali di questa piaga sociale: i figli. La legge stanzia un fondo da 10 milioni di euro per gli orfani di femminicidio, ampliando notevolmente la platea dei beneficiari rispetto al passato.
Gli aiuti economici e il supporto non saranno più limitati ai soli figli di donne uccise da un partner o ex partner, ma si estenderanno a tutti i minori la cui madre sia stata vittima di un omicidio in quanto donna, indipendentemente dal legame tra lei e l’assassino. In una previsione di particolare sensibilità, il sostegno viene garantito anche ai figli di donne sopravvissute a un tentato femminicidio, ma che a causa delle gravissime lesioni riportate non sono più in grado di prendersi cura di loro.
Questa misura si inserisce in un quadro di tutele rafforzate, che cerca di affrontare anche le paradossali conseguenze legali che in passato sono ricadute sugli orfani, come nel caso di richieste di risarcimento da parte dell’INPS per debiti ereditati dal genitore omicida, una stortura normativa che in passato ha richiesto interventi diretti del governo e del Presidente della Repubblica per essere sanata.
Prevenzione e dati
Nonostante l’ampia convergenza sul testo, le forze di opposizione (Pd, Avs e M5s) hanno evidenziato una lacuna importante: la mancanza di investimenti specifici e strutturali sulla prevenzione e sull’educazione affettiva e sentimentale. Il dibattito ha fatto emergere la consapevolezza che la risposta penale, per quanto dura e necessaria, da sola non può essere sufficiente.
Questo aspetto si lega ai dati allarmanti che continuano a caratterizzare il fenomeno in Italia. Sebbene le statistiche mostrino una leggera flessione, i numeri restano drammatici: nel 2024, sono state 113 le donne uccise, di cui 61 per mano del partner o di un ex. Dati del Ministero dell’Interno e dell’Istat confermano come la stragrande maggioranza di questi delitti avvenga in ambito familiare o affettivo, sottolineando l’urgenza di un cambiamento che sia, prima ancora che legale, profondamente culturale.
La nuova legge sul femminicidio rappresenta quindi un pilastro fondamentale, un segnale inequivocabile da parte dello stato, ma la sua approvazione non è un punto di arrivo, bensì l’inizio di un percorso più complesso. L’efficacia di questa norma si misurerà non solo nelle aule di tribunale, ma anche e soprattutto nella sua capacità di agire come deterrente e di stimolare una riflessione collettiva sulla natura del possesso, del rifiuto e del rispetto.
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