Denise Amerini, responsabile dei coordinamenti regionali e territoriali della campagna di sensibilizzazione: «Davanti alla patologia è difficile che una persona ammetta di essere un giocatore d’azzardo»
Lotto, Gratta e Vinci, Bingo o scommesse. L’offerta di gioco, anche online, è ampia e a portata di mano, sia sul cellulare che a poca distanza da casa. Giochi veloci, facilmente accessibili, che possono diventare un rischio, e una dipendenza, per chi vive condizioni di fragilità: nel 39% dei casi si gioca per curiosità e come alternativa a stati di noia, per il 21% dei giocatori è l’occasione per “dimenticare i problemi” e sentirsi meno soli, e per un 12% il gioco rappresenta la “speranza di vincere denaro” (dati: Nomisma 2021).
È ai giocatori che si rivolgono alcuni recenti spot pubblicitari, delle aziende che forniscono giochi autorizzati dall’Aams, Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, con l’invito: “Gioca responsabile”. Una pubblicità che arriva in un momento di cambiamenti e dibattiti per l’approvazione di una nuova legge che regoli il gioco d’azzardo partendo, come proposto dal governo, dall’abolizione del divieto di pubblicità del gioco legale, che il decreto Balduzzi, noto come decreto Dignità, nel 2012 aveva imposto. «Noi, come campagna “Mettiamoci in Gioco”, abbiamo insistito perché ci fosse il divieto completo di pubblicità del gioco d’azzardo, anche perché è ovvio che pubblicizzare qualcosa significa spingere le persone ad acquistare quella cosa, rendendola anche gradevole – spiega Denise Amerini, responsabile dei coordinamenti regionali e territoriali di “Mettiamoci in Gioco”, una rete che dal 2012 coinvolge fondazioni antiusura e associazioni laiche e cattoliche della società civile, tra cui Libera -. Nel gioco d’azzardo non si dice mai “può nuocere alla salute”. Si fa pubblicità senza mai usare il termine ‘azzardo’. Si parla sempre di gioco legale, facendo passare il messaggio che se è legale va bene, è ammesso. Ma anche il gioco legale è a rischio patologia, perché i meccanismi del gioco creano la dipendenza. Si parla di vincita in denaro, dando l’idea che il gioco può modificare la condizione economica di una persona. Alla fine si fa riferimento al gioco responsabile, però, a nostro parere, così si butta tutta la responsabilità sul singolo individuo, chiedendogli di limitarsi e sospendere il gioco. Ma quando ormai si è sviluppata una patologia da dipendenza, è difficile che una persona ammetta di essere un giocatore d’azzardo. Spesso le persone devono toccare il fondo prima di riconoscere di avere sviluppato questa patologia».
Una dipendenza che è trasversale, per età e genere, ma che inizia a coinvolgere sempre di più i minori. I ragazzi e le ragazze tra i 14 e i 17 anni considerati problematici nel rapporto con il gioco sono circa 90mila, secondo una recente ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità, e quelli fragili a rischio 130mila. Giovanissimi che vanno tutelati dai rischi della dipendenza sia da gioco online che da gioco offline, in bar, tabacchi e centri scommesse. Ragazze e ragazzi che nel 4% dei casi giocano ogni giorno, e sui quali manca il necessario controllo. Sempre secondo la ricerca dell’Iss, ai più giovani i documenti vengono richiesti solo 2 volte su 10.
Sui giovani e sugli adulti a rischio diventa fondamentale anche la distanza dai luoghi di gioco. «Da anni chiediamo misure come i distanziometri. Sappiamo che da sola è una misura parziale, ma se una persona che non ha sviluppato la patologia ed è a rischio non trova un’offerta smisurata dovunque, forse ha meno stimoli a giocare», precisa Denise Amerini. Una dipendenza che coinvolge sia le donne che gli uomini, ma che vede più esposte le donne, soprattutto anziane. «Un’alta percentuale di donne anziane sole vanno nelle sale slot anche perché così socializzano con altre donne anziane. Ma, di fatto, in una sala slot il giocatore è solo. La macchina lo ipnotizza con suoni e colori studiati per spingere a giocare sempre di più – aggiunge Amerini -. Bisogna anche distinguere tra gioco tradizionale e gioco d’azzardo: il primo è caratterizzato dalla socialità, nell’azzardo la persona è sola; il gioco tradizionale inoltre ha a che fare con le capacità del giocatore, l’azzardo è casualità».
In Italia, dove si registra la percentuale più alta d’Europa di adulti con comportamenti di gioco a rischio azzardo, manca una legge che regoli l’offerta di gioco in tutte le sue sfaccettature. «Serve una legge quadro nazionale che parta dalla tutela della salute delle persone e stabilisca dei limiti, e delle distanze, perché l’offerta non può essere h24 – aggiunge Denise Amerini, con fermezza -. Serve confermare il divieto di pubblicità, occorre l’accesso completo ai dati, necessario alle amministrazioni locali per capire il proprio territorio. E chiediamo la ricostruzione dell’osservatorio per il contrasto al gioco d’azzardo, presso il ministero della Salute». E, concludendo, chiosa: «Sono stanca di sentir dire che senza i proventi dell’azzardo non si chiudono i bilanci dello Stato. Nessuno quantifica i costi sanitari e sociali. Si tratta di soldi sottratti all’economia reale: chi spende tutto lo stipendio o la pensione nell’azzardo non li spende al supermercato, in abbigliamento o nella cultura».
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