Sovraffollamento, rifiuti e riscaldamento globale minacciano il Tetto del mondo. Il Nepal corre ai ripari per salvare le sue montagne
L’Everest, con i suoi 8.849 metri, rappresenta da sempre l’apice dell’avventura e della conquista umana. Ma oggi, la montagna più alta del mondo è anche simbolo di una crisi più profonda. L’aumento incontrollato del turismo d’alta quota, l’accumulo di rifiuti e gli effetti sempre più evidenti del cambiamento climatico stanno mettendo a rischio l’ecosistema himalayano e la sicurezza degli alpinisti. Durante l’ultima stagione di scalate, il governo del Nepal ha rimosso dalla montagna 11 tonnellate di spazzatura, quattro corpi senza vita e uno scheletro. Un’operazione senza precedenti, necessaria per ridare dignità a un luogo sempre più affollato e trasformato in una discarica glaciale.
Una montagna sacra minacciata dall’eccesso
“La nostra missione è proteggere la bellezza naturale delle nostre vette, garantire la sicurezza degli alpinisti e sostenere le comunità locali”, ha dichiarato il ministro del Turismo nepalese Badri Prasad Pandey. Parole pronunciate durante l’Everest Summiteers Summit a Kathmandu, un incontro che ha riunito circa 100 scalatori provenienti da tutto il mondo. Il tema centrale? L’overtourism sull’Everest. Sempre più persone tentano di raggiungere la vetta durante le brevi finestre di bel tempo, generando code pericolose lungo i passaggi ghiacciati. Questo sovraffollamento è diventato un problema anche per chi è esperto, come mostrano le immagini impressionanti degli scalatori in fila, in attesa del loro turno per salire.
Sull’Everest l’alpinismo diventa business
Negli ultimi anni l’Everest è diventato anche un affare redditizio. Con permessi che costano circa 11.000 dollari (poco meno di 10.000 euro) validi per 90 giorni, il Nepal ha trovato nel turismo d’alta quota una risorsa economica. Ma questa commercializzazione ha un prezzo. “La montagna è sacra, ma viene affrontata da persone che non sono né pronte fisicamente né emotivamente”, ha dichiarato la scalatrice nepalese Purnima Shrestha. Secondo lei, la mancanza di preparazione porta ai famosi ingorghi lungo la via per la vetta, situazioni che aumentano il rischio per tutti.
Un’innovazione controversa: lo xenon
Una novità che sta facendo discutere è l’uso del gas xenon per migliorare la resistenza fisica degli scalatori. L’alpinista austriaco Lukas Furtenbach ha portato una squadra britannica sull’Everest in tempi record, grazie a un trattamento svolto in Germania prima della partenza. Il gruppo ha raggiunto la vetta e fatto ritorno a Londra in meno di una settimana. Furtenbach sostiene che abbreviare i tempi di permanenza in quota possa ridurre l’impatto ambientale. “Se invece di otto settimane si passa solo una, anche i rifiuti umani calano del 75%”, ha spiegato. Tuttavia, le autorità nepalesi hanno aperto un’indagine: il gas non è stato usato in Nepal, ma resta da chiarire se possa rappresentare un’alternativa sicura ed efficace.
Everest: è l’ora del rispetto
Il cambiamento climatico resta il nemico più silenzioso ma costante. Lo scioglimento dei ghiacciai, la riduzione della neve e l’instabilità dei pendii stanno rendendo l’Everest sempre più fragile. Il segretario generale dell’ONU, António Guterres, ha recentemente lanciato un appello per fermare la ‘follia climatica’, ricordando che le montagne del Nepal hanno già perso un terzo dei loro ghiacci. Anche per questo il Nepal vuole rafforzare le regole. Attualmente, non esistono limiti precisi sul numero di giorni da trascorrere per acclimatarsi o sulla reale esperienza degli scalatori. Eppure, la sicurezza – come dimostrano le morti annuali – dovrebbe essere una priorità.
Soccorsi in alta quota: un’emergenza anche europea
Il tema della presenza di professionisti sanitari e di soccorso in contesti estremi è cruciale. Secondo dati recenti, in Europa lavorano oltre 1,6 milioni di operatori sanitari specializzati in emergenza e pronto soccorso, ma solo una minima parte è addestrata per operare in alta montagna. La preparazione medica sul campo, in zone come l’Everest, è spesso affidata a poche risorse, rendendo ogni incidente potenzialmente fatale.“Queste montagne sono sacre e dobbiamo proteggerle per le generazioni future”, ha ribadito Pandey. Ma servono azioni concrete: regolamentare gli accessi, incentivare pratiche sostenibili, sensibilizzare al rispetto ambientale. Perché l’Everest non può diventare solo un trofeo da conquistare, ma deve restare un luogo di sfida, sì, ma anche di equilibrio tra uomo e natura.
(in apertura:13 aprile 2019, campo base dell’Everest affollato durante l’alta stagione )
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