Il tycoon di Tesla, dopo la rottura e un durissimo scontro verbale con l’ex alleato Donald Trump, annuncia la creazione di un nuovo soggetto politico: l’America Party. L’obiettivo non è la presidenza, ma diventare l’ago della bilancia al Congresso, intercettando il malcontento verso il sistema politico.
L’annuncio su X di Musk
Una mossa che sa di “dichiarazione di guerra al sistema”, ma soprattutto al suo ex alleato. Elon Musk ha ufficialmente rotto gli indugi, annunciando la nascita dell’America Party. Un terremoto politico innescato attraverso il suo social network X, che formalizza una frattura ormai insanabile con il presidente Donald Trump.
La decisione non sembrerebbe un capriccio estemporaneo, ma il culmine di una strategia precisa, legittimata da un sondaggio plebiscitario. Musk, infatti, ha chiesto ai suoi milioni di follower se volessero “l’indipendenza dal sistema a due partiti”. E con oltre 1,2 milioni di voti, il 65% ha detto sì, offrendo al fondatore di SpaceX il pretesto perfetto. “Lo avete chiesto e lo avrete. […] Oggi nasce l’America Party per restituirvi la libertà”, ha proclamato il miliardario, accusando l’establishment di mandare in bancarotta il paese.
La genesi del nuovo partito
La rottura tra i due giganti della politica e dell’industria americana affonda le radici in un rapporto mai veramente paritario. L’immagine di Musk in piedi nello Studio Ovale, quasi come uno “studente” di fronte a un Trump seduto in cattedra, era il presagio di un’alleanza fragile.
Da principale sostenitore finanziario nella campagna 2024 e responsabile per l’efficienza governativa (il cosiddetto DOGE), Musk ha progressivamente preso le distanze. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la legge di bilancio, la “Big, Beautiful Bill” di Trump. Un provvedimento definito una “follia” fiscale da Musk, che ha visto tradita la promessa di ridurre il debito. Di fronte all’approvazione della legge, il proposito del tycoon si è trasformato in azione.
La reazione di Trump e lo scontro sull’America Party
La reazione di Donald Trump è stata immediata e sprezzante. “Mi rattrista vedere Musk perdere il controllo e trasformarsi in un disastro”, ha dichiarato il Presidente sui suoi canali social, definendo l’idea di un terzo partito semplicemente “ridicola”.
Secondo Trump, la mossa di Musk nasconde la rabbia per l’eliminazione dei sussidi alle auto elettriche, un taglio a cui, a suo dire, il CEO di Tesla aveva inizialmente acconsentito. Trump ha poi rincarato la dose, svelando un presunto retroscena: “Elon mi ha chiesto che uno dei suoi amici guidasse la Nasa. Il suo amico era molto bravo ma era un democratico. Ho pensato che fosse inappropriato”. Un affondo mirato a colpire il cuore degli interessi di Musk, ovvero la sua azienda aerospaziale SpaceX, e a dipingerlo come un personaggio in cerca di favori personali.
Il ruolo di Steve Bannon
A gettare benzina sul fuoco dello scontro ci ha pensato una delle voci più potenti della destra populista americana: Steve Bannon. L’ex capo stratega di Trump, dal suo influente podcast, ha sferrato un attacco frontale mirando direttamente alle origini sudafricane di Musk.
Bannon dai microfoni del suo podcast “War room” ha sostenuto che solo uno straniero, un non americano, avrebbe potuto compiere il gesto di lanciare un partito chiamato “America Party”, spingendosi fino a chiedere che il tycoon venisse deportato. Si tratta di una tattica precisa e velenosa, volta a dipingere Musk come un outsider che interferisce con la politica nazionale, ignorando volutamente il fatto che sia cittadino americano dal 2002.
La risposta di Musk su X è stata di una violenza speculare. Il fondatore di Tesla ha descritto Bannon come un “grasso ubriacone”, predicendo per lui un ritorno in prigione che questa volta sarebbe stato molto lungo. Ha poi aggiunto che l’ex stratega avrebbe una vita di crimini di cui rendere conto. Il riferimento alla prigione non è un insulto campato in aria, ma un colpo mirato ai noti guai giudiziari di Bannon, che includono una condanna per oltraggio al Congresso. Questo scambio al veleno ha spostato il confronto ben oltre la divergenza politica, trasformandolo in una vera e propria faida personale combattuta per l’egemonia sull’elettorato conservatore.
La strategia dell’ago della bilancia al congresso
Al di là degli scontri politici o verbali, la strategia di Musk appare lucida: nessuna corsa alla Casa Bianca, almeno per ora. L’obiettivo, più chirurgico è di “concentrare una forza estrema in un punto preciso del campo di battaglia”. Tradotto in termini politici, significa eleggere un manipolo di parlamentari, due o tre al Senato e una decina alla Camera, capaci di diventare l’ago della bilancia.
Un gruppo indipendente in grado di condizionare le leggi più importanti e di sottrarre il potere di veto alle ali estreme dei due partiti. Intanto, i primi documenti per la registrazione formale dell’America Party sono stati depositati presso la Commissione elettorale federale, segnalando che il progetto è tutt’altro che un bluff.
La previsione dell’Intelligenza Artificiale
Il percorso di Musk, tuttavia, è pieno di ostacoli. Il sistema elettorale americano ha sempre schiacciato i tentativi di un “terzo partito”. Le difficoltà legali e burocratiche per essere presenti sulle schede di tutti i 50 stati sono enormi. Il rischio più grande, sottolineato da molti analisti, è che l’America Party agisca da “spoiler”, ovvero da disturbatore. Sottraendo voti soprattutto all’elettorato conservatore, Musk potrebbe involontariamente danneggiare proprio i Repubblicani nelle sfide più combattute, favorendo di fatto i Democratici.
Grok, l’intelligenza artificiale di Musk, prevede un consenso tra il 5 e il 10%; abbastanza per creare scompiglio ma non per governare. La scommessa di Musk è appena iniziata e le elezioni di midterm del 2026 saranno il suo primo, vero, banco di prova.
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