(Adnkronos) – La Corea del Sud volta pagina con l’elezione di Lee Jae-myung alla presidenza. Dopo appena due anni dalla sconfitta per un soffio contro il conservatore Yoon Suk-yeol, l’ex avvocato per i diritti umani e figura di punta del Partito Democratico (centrosinistra) ha sconfitto nettamente il rivale Kim Moon-soo del Partito del Potere Popolare. Il voto segna il ritorno dei progressisti al governo della quarta economia asiatica e potrebbe aprire una fase di stabilità dopo mesi di crisi istituzionale. Con il Partito Democratico che controlla anche l’Assemblea Nazionale, la presidenza di Lee si preannuncia politicamente solida. Lee, 61 anni, ha una storia personale atipica per la politica sudcoreana: cresciuto in una famiglia operaia, costretto a lavorare in fabbrica fin da bambino e rimasto invalido dopo un incidente, si è affermato come avvocato dei più deboli prima di entrare in politica. Sopravvissuto a un accoltellamento lo scorso anno, ha fatto della sua biografia una “favola sociale” al centro della campagna. Ha promesso di combattere le disuguaglianze, calmierare i prezzi delle case e rafforzare il welfare, soprattutto per i giovani colpiti da disoccupazione e precarietà. Lee punta anche a rilanciare la Corea del Sud come potenza tecnologica, dichiarando l’intenzione di portare il Paese tra i primi tre al mondo nel campo dell’intelligenza artificiale. Tra le sue proposte figura il trasferimento della capitale amministrativa da Seul a Sejong, con l’obiettivo di decongestionare la metropoli e valorizzare le regioni centrali. “Voglio fare di Sejong la capitale amministrativa de facto e di Daejeon un polo scientifico globale”, ha dichiarato Lee.
Sulla scena internazionale, sostiene il mantenimento dell’alleanza con gli Stati Uniti, ma promuove una linea più autonoma e pragmatica. Ha espresso preoccupazione per l’approccio “America First” di Trump, che potrebbe tradursi in maggiori pressioni su Seul in termini di spese militari e dazi commerciali. In caso di richieste eccessive, ha ipotizzato una riduzione delle importazioni di armi statunitensi. Lee si è detto favorevole a un riavvicinamento graduale con la Corea del Nord, attraverso dialogo e cooperazione economica, e ha criticato l’approccio “big deal” di Trump, preferendo negoziati passo dopo passo con meccanismi di verifica. Ha anche espresso timori per un possibile “Korea passing” qualora gli Stati Uniti riprendessero i colloqui con Pyongyang escludendo Seul. Restano però ombre giudiziarie. Lee è coinvolto in diverse inchieste per corruzione e abuso di potere, che definisce “politicamente motivate”. Le accuse includono presunti trasferimenti illeciti verso la Corea del Nord e contratti sospetti risalenti al periodo in cui era sindaco di Seongnam. Il 2 maggio, la Corte Suprema ha annullato una sua precedente assoluzione per violazione della legge elettorale, aprendo la strada a un nuovo processo che potrebbe metterne a rischio l’eleggibilità al termine del mandato. La vittoria di Lee arriva dopo la destituzione di Yoon, allontanato a dicembre in seguito al fallito tentativo di imporre la legge marziale. Più che un semplice cambio di leadership, l’elezione rappresenta la risposta della società sudcoreana a una crisi istituzionale profonda, con implicazioni che vanno oltre i confini nazionali: dalla gestione del dossier nordcoreano alla competizione tecnologica con la Cina, fino alla ridefinizione dei rapporti strategici con Washington. —internazionale/esteriwebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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