Il 19 dicembre segna l’anniversario della nascita di una delle voci più iconiche del Novecento. Dalle strade di Belleville ai palcoscenici internazionali, la cantante continua a vivere con tributi e celebrazioni in tutto il mondo.
Da Belleville ai boulevard parigini
Il 19 dicembre del 1915, in piena Prima guerra mondiale, nasceva a Parigi Édith Giovanna Gassion. La leggenda vuole che sia venuta al mondo proprio sul marciapiede del civico 72 di Rue de Belleville, nel quartiere più povero della capitale francese, aiutata da un poliziotto. La realtà storica racconta invece che la madre, Annette Maillard, cantante girovaga di origini livornesi, partorì all’ospedale Tenon. Ma quella targa oggi appesa sulla facciata del palazzo porta incisa una verità più grande dei documenti: “Qui nacque nella più cruda povertà Édith Piaf, la cui voce qualche anno più tardi avrebbe incantato il mondo”.
L’infanzia della futura Piaf fu un susseguirsi di abbandoni e miseria. Il padre, Louis Gassion, saltimbanco e contorsionista, era al fronte. La madre scomparve presto dalla sua vita, morendo poi per overdose nel 1945. La piccola Édith passò dalla nonna materna, un’ammaestratrice di pulci che la trascurava, alla nonna paterna che gestiva un bordello in Normandia. Secondo le sue stesse memorie, i biberon le venivano riempiti di vino rosso “per uccidere i microbi”. A sette anni già cantava per strada con il padre, commovendo i passanti con quella voce straordinaria che usciva da un corpo così minuto e fragile.
Quando nacque “il passerotto”
Il nome d’arte Piaf (che nel dialetto parigino significa proprio “passerotto”) arrivò nel 1935, quando Louis Leplée, proprietario del cabaret Gerny sugli Champs-Élysées, la scoprì mentre cantava in Rue Pigalle. Aveva diciotto anni e alle spalle già una figlia, Marcelle, morta di meningite a soli due anni.
Leplée organizzò per lei una serata speciale, invitando i nomi più importanti di Parigi. Édith si presentò con un vestitino nero fatto a maglia da lei stessa, incompleto per mancanza di tempo. Pallida, immobile sotto un riflettore, lasciò parlare solo la voce e le mani. Jean Cocteau, presente quella sera, disse che una voce così potente proveniente da un corpo così piccolo aveva qualcosa di sovrannaturale.
Ma il successo iniziale si tinse subito di tragedia. Nel 1936 Leplée fu assassinato in circostanze misteriose e Piaf venne brevemente sospettata, anche se poi scagionata. Fu Raymond Asso, il suo secondo scopritore, a risollevarla e a trasformarla definitivamente nella Piaf che il mondo avrebbe conosciuto. Asso scrisse per lei i primi testi del suo vero repertorio, musicati da Marguerite Monnot, compositrice che sarebbe rimasta al suo fianco per anni.
Nel 1937 ottenne un contratto con il teatro ABC e da lì la sua ascesa non si fermò più.
Gli amori impossibili e i successi che hanno fatto la storia
La vita sentimentale di Édith Piaf fu un intreccio di passioni travolgenti e lutti devastanti. Lanciò la carriera di molti artisti che poi divennero celebri: Yves Montand, che conobbe nel 1944 e con cui cantò al Moulin Rouge; Charles Aznavour, per cui scrisse brani memorabili; Georges Moustaki, Gilbert Bécaud.
Ma il grande amore della sua vita fu Marcel Cerdan, campione di pugilato conosciuto dopo il suo primo trionfo in America. Il pugile, sposato con figli, si innamorò perdutamente di lei. Il 28 ottobre 1949, mentre volava da Parigi per raggiungerla a New York, Cerdan morì in un incidente aereo. Quella sera Édith cantò comunque sul palco, dedicandogli “Hymne à l’amour”, rifiutando gli applausi.
Il suo repertorio divenne leggenda. “La Vie en rose”, scritta nel 1945, fu l’inno della rinascita francese dopo la Seconda guerra mondiale. “Milord”, “La Foule”, “Padam Padam”, “Non, je ne regrette rien” sono entrati nella memoria collettiva mondiale. Quest’ultima canzone, scritta da Charles Dumont nel 1960, divenne il suo manifesto esistenziale: non rimpiangere nulla, nonostante tutto. Nel 1955 calcò finalmente il palco dell’Olympia, il tempio parigino della musica, e quello della Carnegie Hall di New York, dove ricevette sette minuti di standing ovation. Nel Natale del 1960 fu proprio lei a salvare l’Olympia dal fallimento, accettando l’appello disperato del direttore Bruno Coquatrix. Le repliche durarono quattro mesi.
Il corpo consumato e l’ultimo canto
Gli ultimi anni furono un calvario. L’artrite reumatoide la rese curva, tre gravi incidenti stradali le causarono fratture multiple. L’abuso di alcol e morfina, assunti per lenire i dolori cronici, devastarono il suo fisico. Nel 1961 sposò Théo Sarapo, un giovane parrucchiere greco che aveva ventisette anni meno di lei e che volle lanciare nel mondo della musica. Insieme incisero “A quoi ça sert l’amour”. I giornali si accanirono su quella coppia così improbabile: lui alto, giovane e bello; lei piccola, invecchiata precocemente, sfigurata dalla malattia.
Nell’ottobre del 1963, durante un triste viaggio di ritorno verso Parigi dalla Provenza, Édith Piaf si spense a soli quarantotto anni nel paese di Grasse. Il marito, per esaudire il suo ultimo desiderio di morire a Parigi, caricò il suo corpo esile sul sedile posteriore dell’auto. Morì ufficialmente nella capitale.
Ai suoi funerali nel cimitero di Père Lachaise parteciparono centinaia di migliaia di persone. L’arcivescovo di Parigi le negò le esequie religiose per la vita considerata dissoluta, ma il popolo francese la pianse come una “santa laica”.
A distanza di 110 anni dalla nascita, il ricordo di Édith Piaf resta vivo e potente. Per celebrare questo anniversario, lo spettacolo “Piaf! The Show”, interpretato da Nathalie Lermitte e diretto da Gil Marsalla, sta girando i teatri di tutto il mondo. Nato nel 2015 per il centenario della nascita, lo show ha conquistato oltre 2 milioni di spettatori in più di 70 paesi con oltre mille repliche. Ora arriva anche in Italia, portando sul palco le canzoni immortali della cantante francese in una scenografia che trasporta il pubblico dalle strade di Montmartre all’Olympia. Le Parisien ha scritto che Lermitte riesce miracolosamente a catturare l’anima e il timbro di Piaf.
Édith Piaf ha vissuto solo quarantotto anni, ma in quello spazio breve ha condensato un’esistenza che sembrava durare secoli. Ha cantato l’amore, la perdita, la strada, la guerra, la rinascita. Ha dato voce ai senza voce, agli emarginati, ai disperati, trasformando la sua miseria in oro puro.
Sul marciapiede di Rue de Belleville dove la leggenda vuole sia nata, i turisti ancora si fermano a fotografare quella targa. E nelle radio di tutto il mondo, ancora oggi, risuona quel refrain inconfondibile: “Non, je ne regrette rien”. Niente rimpianti, nonostante tutto. Era questo il suo testamento artistico e umano.
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