Lo studio americano U.S. Pointer, pubblicato sulla rivista Jama, rivela che un approccio strutturato che unisce dieta, esercizio fisico e stimoli mentali è più efficace dei semplici consigli per contrastare il declino cognitivo negli anziani a rischio.
Vivere bene, per vivere più a lungo
Una speranza concreta e scientificamente fondata nella lotta contro il declino cognitivo e la demenza arriva da uno degli studi più ampi e rigorosi mai condotti negli Stati Uniti. Denominata U.S. Pointer (U.S. Study to Protect Brain Health Through Lifestyle Intervention to Reduce Risk) e pubblicata sulla rivista scientifica Jama, la ricerca ha messo in luce come un intervento strutturato e multifattoriale, che combina una dieta sana, un programma di attività fisica, una stimolazione cognitiva e un monitoraggio attento dei fattori di rischio cardiovascolare, sia in grado di produrre risultati tangibili e misurabili.
Lo studio, durato due anni, ha coinvolto oltre 2.100 anziani considerati a rischio, dimostrando che modificare le proprie abitudini non è mai un gesto tardivo e può avere un impatto decisivo sulla salute del nostro cervello. I risultati, presentati alla Alzheimer’s Association International Conference, non lasciano spazio a dubbi: uno stile di vita sano e attivo è la prima, fondamentale arma di prevenzione a nostra disposizione.
Più che semplici consigli
Ciò che emerge con forza dai dati dello studio è la differenza sostanziale tra il dare semplici raccomandazioni e fornire un programma organizzato e supportato.
I ricercatori hanno suddiviso i partecipanti in due gruppi: uno “autoguidato”, che ha ricevuto incoraggiamenti generici a migliorare il proprio stile di vita, e uno “strutturato”, che ha seguito un percorso ben definito con obiettivi precisi e incontri periodici con specialisti e gruppi di pari. Sebbene entrambi i gruppi abbiano mostrato miglioramenti nelle funzioni cognitive, il beneficio è stato significativamente maggiore per chi ha seguito il programma strutturato. Questo approccio prevedeva, tra le altre cose, l’adesione alla dieta MIND (un regime alimentare che combina aspetti della dieta Mediterranea e di quella DASH, studiato per la salute cerebrale), sessioni di allenamento aerobico e di forza quattro volte a settimana, e training cognitivo al computer per 30 minuti tre volte a settimana.
Il successo di questo metodo sottolinea un principio cruciale: la costanza, la responsabilità e il supporto di una comunità sono elementi chiave per trasformare le buone intenzioni in cambiamenti duraturi ed efficaci.
Rallentare il declino cognitivo? Non solo cervello ma gambe veloci
Un tassello fondamentale del mosaico preventivo è senza dubbio l’attività fisica. Lo studio U.S. Pointer la inserisce come uno dei quattro pilastri del suo intervento.
Ma quale tipo di attività e con quale intensità? Una risposta illuminante arriva da un’altra recente ricerca, condotta dalla Vanderbilt University e pubblicata sull’American Journal of Preventive Medicine, che sposta l’attenzione non solo sul “quanto” ma sul “come” ci muoviamo.
Analizzando i dati di quasi 80.000 persone, gli scienziati hanno dimostrato che aumentare il ritmo della camminata quotidiana può migliorare drasticamente l’aspettativa di vita. In particolare, camminare a passo svelto per soli 15 minuti al giorno è risultato associato a una riduzione di quasi il 20% della mortalità per tutte le cause, un beneficio nettamente superiore a quello di una camminata lenta protratta per ore. L’effetto più pronunciato si è registrato sulla riduzione del rischio di morte per malattie cardiovascolari. Questo semplice gesto, accessibile a tutti, migliora la gittata cardiaca, l’ossigenazione e l’efficienza del cuore, contribuendo al contempo a tenere sotto controllo il peso e i fattori di rischio metabolici.
Nessuna “pillola magica” ma serve costanza
I risultati di queste ricerche aprono a una nuova visione della prevenzione, in cui il cittadino diventa protagonista attivo della propria salute cerebrale. L’idea che non esista una “pillola magica” ma un insieme di comportamenti virtuosi da adottare con metodo si fa sempre più strada. A rendere questi risultati ancora più potenti è la loro trasversalità. I benefici dell’intervento strutturato, infatti, si sono manifestati in modo omogeneo tra uomini e donne e tra le diverse etnie coinvolte nello studio.
Ma il dato forse più rivoluzionario riguarda la genetica: il programma si è rivelato efficace persino per i portatori dell’”allele APOE4”, noto per essere il principale fattore di rischio genetico per lo sviluppo della malattia di Alzheimer. Rimane un messaggio importante, che suggerisce come uno stile di vita attivo e consapevole possa avere un impatto più forte della predisposizione scritta nel nostro DNA. Dimostrando che la genetica non sempre equivale a un destino
© Riproduzione riservata