Riccardo Garosci, vicepresidente Confcommercio e presidente di Aice, l’Associazione Italiana Commercio Estero, analizza scenari attuali e prospettive future
Dal 7 agosto 2025 gli Stati Uniti hanno imposto un dazio del 15% su molte merci importate dall’Unione europea, suscitando forte preoccupazione tra gli operatori economici europei che temono un aumento dei costi e una contrazione degli ordini. Ne abbiamo parlato con Riccardo Garosci, vicepresidente Confcommercio e presidente di Aice, l’Associazione Italiana Commercio Estero.
Presidente Garosci, quali sono le principali difficoltà che le imprese italiane stanno affrontando a causa dei dazi attuali?
A causa del prezzo più alto dovuto ai dazi, i consumatori o gli importatori e distributori Usa potrebbero ridurre gli ordini, preferendo alternative più economiche o prodotti locali o di altri paesi. Per assorbire l’impatto dei dazi, alcune imprese sono costrette a tagliare i margini senza poter trasferire il costo aggiuntivo sul cliente finale. Le imprese devono gestire l’incertezza: ancora oggi non è chiaro quali prodotti verranno colpiti e se ci saranno esenzioni o accordi compensativi in una seconda parte dell’attuale scenario.
Allo stato attuale quali settori sono stati colpiti più duramente?
Direi la farmaceutica, la meccanica, la moda e l’agroalimentare, soprattutto vino, formaggi, olio e pasta. Il rischio stimato per certi prodotti alimentari è una riduzione dell’export tra il 10 e 15 %. Anche il settore moda, con pelletteria e calzature, è vulnerabile, sia per l’alta quota di export verso gli Usa sia per la concorrenza di prodotti a basso costo. Infine, i comparti automotive e ricambi rischiano cali significativi, così come la chimica e i settori dell’arredo e del legno, e dei beni di lusso, particolarmente gioielleria e occhialeria.
I dazi possono essere la spinta per scoprire mercati nuovi e meno battuti, come stanno reagendo le imprese? E quali aree geografiche offrono oggi le migliori chances per l’export italiano?
La domanda di prodotti italiani cresce in mercati emergenti come Brasile, India, Vietnam, Africa e Sud-Est asiatico, in alcuni paesi come Canada, Giappone, Vietnam, Mercosur fra breve, è favorita anche da accordi Ue di libero scambio. Moda, design, food & beverage, farmaceutica e cosmetica trovano nicchie disposte a pagare prezzi premium, grazie al valore del lifestyle italiano. Non tutti i settori reagiscono allo stesso modo, ma eccellenze come design, turismo, edilizia, hotelleria e ristorazione di lusso risultano particolarmente competitive e riconosciute a livello mondiale.
In che modo le associazioni di impresa possono aiutare le aziende a fare rete e ad aprirsi a mercati più lontani?
Facilitano i contatti tra aziende dello stesso settore creando massa critica; favoriscono la nascita di gruppi di aziende che condividono costi per l’internazionalizzazione, offrono formazione specifica su contrattualistica internazionale, marketing interculturale, Digital export. Le associazioni, inoltre, informano su trattati Ue che possono ridurre dazi e ostacoli non tariffari, e assistono le imprese nell’accesso a fondi europei.
Il digitale e l’e-commerce possono aiutare le imprese a cogliere nuove opportunità o, in questo contesto, non cambierebbe poi molto?
Entrambi gli strumenti non sono una bacchetta magica ma, in un contesto di dazi certi e alcuni incerti e di tensioni commerciali, diventano strategici. Il digitale può favorire un accesso diretto a mercati lontani, riducendo il numero di intermediari. Non elimina i problemi dei dazi, ma può ridurre la dipendenza da pochi grandi importatori e distributori e consente di raccontare e valorizzare l’identità italiana a un pubblico globale. L’e-commerce invece è già oggi la via più veloce e meno costosa per diversificare e scoprire mercati alternativi.
Quali misure o interventi dovrebbe mettere in campo il Governo per sostenere concretamente le imprese italiane?
Questa è la domanda delle domande, che con una soluzione sola potrebbe dare risposte tranquillizzanti. Ma poiché non dipende dalla nostra sola volontà ma anche dal fare parte della Ue, e dunque parlare con una voce sola, bisogna distinguere fra più risposte. La diplomazia economica messa in atto dal ministro Tajani e dalla Farnesina sono già un’ottima risposta unita alla recente riorganizzazione del Ministero degli Esteri. La diplomazia può fare pressioni a livello Ue e WTO (World Trade Organization) per contenere i dazi e, se non può annullare quelli modificati verso l’alto, può provare almeno a prevenire nuove barriere. Aggiungiamo una difesa del Made in Italy contro fenomeni di Italian Sounding (prodotti che ‘suonano’ come italiani, ma che non lo sono affatto, ndr) tramite accordi di tutela dei marchi. Infine, accordi governativi bilaterali e multilaterali con paesi/aree emergenti, quali India, Africa, ASEAN, America Latina, dove la nostra diplomazia si muove bene da tempo, ultimamente anche grazie al piano Mattei e ad altri interventi mirati. Un ultimo sforzo che il governo potrebbe fare è rafforzare le risorse di ICE, Sace, Simest, con nuovi sostegni finanziari alle imprese esportatrici, soprattutto PMI e del terziario.
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