La ricerca aerospaziale studia molecole naturali per frenare il declino cellulare degli astronauti in missione. Curcumina, resveratrolo e polifenoli potrebbero aprire nuove strade anche per combattere i processi degenerativi legati all’età, sulla Terra.
Quando il tempo scorre più veloce
Pochi mesi nello Spazio possono equivalere, per il corpo umano, a diversi anni sulla Terra. Non è fantascienza ma una realtà con cui devono fare i conti tutti gli astronauti impegnati in missioni di lunga durata. L’assenza di gravità, l’esposizione prolungata alle radiazioni cosmiche e lo stress psicofisico innescano processi biologici degenerativi che avanzano a una velocità impressionante. Il cervello subisce alterazioni che ricordano quelle delle malattie neurodegenerative, mentre ossa e muscoli perdono massa e densità con un ritmo molto superiore a quello che si registra a livello del suolo.
La medicina aerospaziale ha individuato in questa accelerazione biologica una delle sfide più urgenti per le missioni verso la Luna e Marte. Ma c’è di più: lo Spazio si sta rivelando un laboratorio d’eccezione per comprendere meglio i meccanismi che fanno invecchiare le cellule. Ciò che emerge dalle ricerche condotte in orbita potrebbe avere ripercussioni importanti anche per chi non lascerà mai l’atmosfera terrestre.
Nutraceutici naturali al centro della ricerca
Durante la quinta Giornata milanese della medicina aerospaziale, organizzata dall’Istituto di medicina aerospaziale dell’Aeronautica Militare Angelo Mosso, sono stati presentati dati incoraggianti sull’utilizzo di molecole naturali per contrastare l’invecchiamento degli astronauti. L’evento, dedicato al tema Longevity and Human Flight, ha messo al centro l’uso di nutraceutici come strumento di protezione per cervello, ossa e muscoli sottoposti alle condizioni estreme dello Spazio.
Tre sostanze in particolare stanno attirando l’attenzione degli scienziati. La curcumina, estratto della radice di curcuma, è nota per le sue proprietà antinfiammatorie e neuroprotettive. Il resveratrolo, presente nell’uva e nel vino rosso, ha dimostrato potenzialità nel ridurre la perdita di massa muscolare e ossea. I polifenoli, una vasta famiglia di composti fitochimici presenti in molti alimenti vegetali, sembrano in grado di preservare la funzionalità cerebrale e di contrastare il deterioramento del tessuto osseo. Tutte molecole di origine naturale che agiscono con effetti antiossidanti e antinfiammatori, capaci di creare una sorta di scudo biologico contro i danni cellulari.
Il volo atmosferico e quello spaziale offrono un laboratorio unico per studiare in maniera accelerata i meccanismi dell’invecchiamento cellulare. I risultati ottenuti finora nella sperimentazione di questi nutraceutici sono promettenti e aprono scenari interessanti non solo per gli astronauti ma anche per la popolazione generale.
Un pianeta che invecchia
La questione dell’invecchiamento non riguarda soltanto chi viaggia nello Spazio. Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, entro il 2050 oltre un quinto della popolazione mondiale avrà superato i 60 anni. Si parla di circa 2,4 miliardi di persone.
In Italia la situazione è ancora più marcata. Il nostro Paese, secondo solo al Giappone per percentuale di anziani, vede già oggi una persona su cinque oltre i 65 anni. Nel giro di pochi decenni, il rapporto potrebbe arrivare a uno su tre.
Questo fenomeno globale porta con sé un aumento delle malattie neurodegenerative, dell’osteoporosi, della sarcopenia e di tutte quelle condizioni che riducono l’autonomia e la qualità della vita. I sistemi sanitari, ancora largamente orientati alla cura degli episodi acuti, faticano ad adattarsi a un contesto in cui prevalgono le patologie croniche e le esigenze di assistenza continua. La ricerca di soluzioni efficaci per rallentare l’invecchiamento cellulare diventa quindi una priorità non più rinviabile.
Ed è proprio qui che i risultati della medicina aerospaziale possono fare la differenza. I meccanismi biologici che determinano il declino cognitivo, la fragilità ossea e la debolezza muscolare negli astronauti sono gli stessi che agiscono sulla Terra, anche se con velocità diverse. Studiare come proteggere l’organismo umano durante le missioni spaziali significa, di fatto, sviluppare strumenti utilizzabili anche per migliorare la salute degli anziani.
Dalla microgravità alla vita quotidiana
L’ambiente spaziale accelera fenomeni che sulla Terra impiegano decenni a manifestarsi.
Gli astronauti, dopo pochi mesi in orbita, mostrano una perdita di densità ossea paragonabile a quella che una persona anziana subisce in diversi anni. La riduzione della massa muscolare segue dinamiche simili. A livello cerebrale, si registrano alterazioni della memoria, rallentamenti cognitivi e modifiche nella struttura delle sinapsi che ricordano i primi stadi di malattie come l’Alzheimer o il Parkinson.
Le sostanze nutraceutiche allo studio mirano a intervenire su più fronti contemporaneamente. Neutralizzano i radicali liberi generati dallo stress ossidativo, riducono le infiammazioni croniche, migliorano il metabolismo energetico dei mitocondri e limitano la morte cellulare programmata. Alcuni composti sembrano anche in grado di preservare la lunghezza dei telomeri, sequenze di DNA poste alle estremità dei cromosomi la cui integrità è strettamente legata alla longevità cellulare.
Se questi nutraceutici dovessero confermare la loro efficacia anche in condizioni terrestri, potrebbero diventare un’opzione preventiva o terapeutica per affrontare il declino legato all’età. Non si tratta di pillole miracolose, ma di strumenti che, integrati in un approccio più ampio fatto di alimentazione corretta, attività fisica e stile di vita sano, potrebbero contribuire a mantenere più a lungo l’autonomia e il benessere psicofisico.
Una nuova prospettiva sull’anzianità
La sfida non è solo vivere più a lungo, ma vivere meglio. In questo contesto, la medicina aerospaziale non rappresenta più un settore di nicchia riservato a pochi specialisti. Le conoscenze che emergono dallo studio degli effetti dello Spazio sul corpo umano stanno alimentando ricerche applicabili su larga scala. Il Centro di Medicina Aerospaziale per le Terapie Avanzate (Cemata), nato sei anni fa da una collaborazione tra Aeronautica Militare, Università e Policlinico di Milano, è uno degli esempi concreti di come la ricerca aerospaziale possa dialogare con la medicina clinica e con le esigenze di salute pubblica. Parallelamente, a livello internazionale, istituti come il Translational Research Institute for Space Health (TRISH), finanziato dalla NASA e guidato dal Baylor College of Medicine, stanno sviluppando studi e tecnologie per proteggere gli astronauti nelle missioni di esplorazione profonda.
Le ricadute di queste ricerche non si limitano allo spazio: molti progetti puntano a sviluppare soluzioni utilizzabili anche sulla Terra per migliorare la salute cardiovascolare, la funzionalità cognitiva e la resistenza fisica.
L’idea che molecole naturali come curcumina, resveratrolo e polifenoli possano diventare parte integrante di protocolli di prevenzione rappresenta un cambio di paradigma. Si passa da un approccio che interviene solo quando la malattia è già manifesta a uno che cerca di preservare il più a lungo possibile le funzioni biologiche. E questo vale tanto per chi si prepara a partire per Marte quanto per chi affronta la terza età in una città italiana.
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