Dietro al generale calo delle nascite non ci sono solo motivi economici: il vero nodo sono la libertà di scelta e una visione pessimistica del futuro
La crisi della natalità è un fenomeno consolidato in molte aree del mondo, Italia inclusa. Ma perché sempre più persone scelgono, o si trovano costrette, a rinunciare alla genitorialità? A rispondere è il rapporto The Real Fertility Crisis, pubblicato dal Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA), che propone un’interpretazione nuova: il calo delle nascite non è il risultato di una semplice mancanza di desiderio, ma della concreta impossibilità per molte persone di realizzare i propri progetti familiari. Dietro le statistiche, infatti, si nascondono ostacoli profondi e strutturali: la precarietà economica, le disuguaglianze di genere, la carenza di servizi sanitari adeguati e un crescente pessimismo verso il futuro rappresentano le vere cause del divario tra ciò che si vorrebbe e ciò che si può realmente fare.
Crisi della natalità: se il desiderio di genitorialità si scontra con la realtà
Il rapporto dell’UNFPA si basa su una vasta ricerca condotta in 14 Paesi, che insieme rappresentano oltre un terzo della popolazione mondiale. I risultati mettono in luce un dato fondamentale: la genitorialità non è più solo una scelta, ma spesso un privilegio. Circa il 18% degli adulti in età riproduttiva afferma di non riuscire ad avere il numero di figli desiderato. E guardando alla fascia degli over 50, emerge che il 31% ha avuto meno figli di quanti avrebbe voluto, mentre un 12% ne ha avuti più del previsto. Ma il dato forse più eloquente riguarda quel quarto di popolazione che, almeno una volta nella vita, ha desiderato un figlio senza riuscire ad averlo. In oltre il 40% dei casi, questo desiderio è stato poi abbandonato, segno di una rinuncia forzata più che di una scelta consapevole.
La crisi della natalità nasce dalla mancanza della libertà di scelta
Molti dei motivi che portano a rinunciare alla genitorialità sono noti da tempo, ma ciò che distingue questo rapporto è la prospettiva adottata. Non si tratta solo di analizzare i tassi di natalità in calo, ma di porre al centro il diritto delle persone di scegliere liberamente se e quando diventare genitori. Tra le barriere più ricorrenti, c’è la precarietà economica: l’insicurezza lavorativa, la disoccupazione e le difficoltà legate all’accesso a una casa rendono difficile pianificare un futuro familiare stabile. A ciò si aggiungono le persistenti disuguaglianze di genere. Anche quando supportate dal partner, molte donne trovano complicato conciliare carriera e maternità in un contesto che spesso non offre tutele sufficienti né per il lavoro né per la cura. Un altro ostacolo è la carenza di servizi di salute riproduttiva. Le difficoltà nell’accedere a cure per l’infertilità, unite alla qualità spesso insufficiente dell’assistenza legata alla maternità, penalizzano chi desidera diventare genitore. Il quadro si completa con le crescenti preoccupazioni per il futuro. Tra crisi ambientali, pandemie e instabilità politica, molti pensano di non poter garantire un avvenire sereno ai propri figli.
Quando le politiche per la natalità sbagliano bersaglio
Nel tentativo di contrastare la crisi della natalità, molti governi hanno adottato politiche inefficaci o addirittura dannose. Alcune scelte del passato – come la politica del figlio unico in Cina o i divieti di aborto in Romania – si sono tradotte in gravi violazioni dei diritti umani. Anche strumenti apparentemente neutri, come i cosiddetti “baby bonus”, si sono spesso rivelati soluzioni tampone, incapaci di modificare in modo significativo le scelte riproduttive. Il problema, secondo l’UNFPA, è che molte politiche cercano ancora di controllare i numeri, invece di sostenere le persone. “Non si tratta di convincere le persone a fare più figli. Ma di rimuovere gli ostacoli che impediscono loro di farlo, se lo desiderano”, si legge nel documento. È questo il senso del vero cambiamento: abbandonare la logica del controllo demografico per abbracciare una visione centrata sui diritti individuali.
Verso una nuova ‘resilienza demografica’
Il rapporto introduce un concetto innovativo: quello di resilienza demografica. Invece di forzare le scelte individuali, si propone una società capace di adattarsi ai cambiamenti demografici sostenendo realmente le persone nelle loro decisioni. Per raggiungere questo obiettivo, è essenziale garantire servizi di salute sessuale e riproduttiva accessibili, che includano la contraccezione, l’assistenza alla maternità e i trattamenti per l’infertilità. Serve poi una stabilità economica che si traduca in lavoro dignitoso, sicurezza abitativa, accesso all’istruzione e servizi per l’infanzia. La parità di genere è un altro pilastro: la condivisione delle responsabilità familiari deve essere reale, anche attraverso strumenti come i congedi parentali per i padri. Accanto a tutto questo, vanno sviluppate politiche aziendali e comunitarie che offrano supporto concreto alle famiglie, promuovendo inclusione e riconoscendo la pluralità delle forme familiari, indipendentemente dall’orientamento sessuale o dallo stato civile.
Una crisi di diritti, non di natalità
La vera crisi, dunque, non riguarda il numero delle nascite, ma la libertà di decidere. La libertà di poter scegliere se diventare genitori o meno, senza pressioni né impedimenti. Gravidanze forzate o non desiderate non sono una risposta sostenibile e rischiano anzi di compromettere ulteriormente il benessere individuale e collettivo. Investire nelle condizioni che rendono possibile una scelta serena è l’unica via per restituire alle persone il controllo sul proprio futuro. Non si tratta di incentivare la natalità a ogni costo, ma di creare le condizioni affinché chi desidera avere figli possa farlo, senza rinunce o paure.
TUTTE LE ULTIME NOTIZIE SU SPAZIO50.ORG
© Riproduzione riservata