La nuova Convenzione europea introduce strumenti penali per contrastare i reati contro l’ambiente. Resta ancora fuori il diritto a un ecosistema sano
I crimini ambientali hanno oggi un ostacolo di legge in più grazie alla Convenzione internazionale approvata dal Consiglio d’Europa. Il nuovo trattato, vincolante per i 46 Paesi membri, fornisce finalmente una cornice per perseguire penalmente i reati più gravi contro l’ambiente, spesso trascurati o sottovalutati. L’approvazione è avvenuta il 14 maggio 2025 durante la riunione del Comitato dei Ministri a Lussemburgo, in un contesto segnato dalla crescente consapevolezza delle emergenze ambientali. Il segretario generale del Consiglio, Alain Berset, ha definito la Convenzione “una svolta per la protezione ambientale”, sottolineando l’importanza di usare il diritto penale per tutelare il pianeta. Il trattato si inserisce in una strategia più ampia, che mira a coniugare ambiente, diritti umani e democrazia.
Una risposta alla crisi ecologica globale
Il nuovo testo arriva nel momento in cui il mondo affronta quella che le Nazioni Unite definiscono ‘la triplice crisi planetaria’: cambiamento climatico, inquinamento e perdita di biodiversità. Proprio in risposta a queste minacce, la Convenzione stabilisce una serie di reati che gli Stati dovranno perseguire, tra cui gli atti intenzionali che causano disastri ambientali paragonabili all’ecocidio. I crimini ambientali, finora spesso relegati a una dimensione amministrativa o civile, assumono così il peso di veri e propri delitti. Il trattato prevede anche meccanismi di monitoraggio e cooperazione internazionale per garantire che le nuove norme vengano effettivamente applicate.
L’ambiente entra nel diritto penale
Tra le novità più significative della Convenzione c’è la definizione giuridica di una vasta gamma di crimini ambientali, compresi quelli transfrontalieri. Il documento affronta anche le responsabilità delle imprese, prevede sanzioni severe e considera il legame tra criminalità organizzata e danni ambientali. Nel corso dei due anni di lavoro necessari alla stesura del testo, hanno partecipato esperti degli Stati membri, rappresentanti dell’Unione Europea, delle Nazioni Unite, di Interpol e di numerose organizzazioni della società civile. Una collaborazione ampia, segno dell’urgenza e della complessità del tema.
Il diritto a un ambiente sano resta fuori
Nonostante il passo avanti, diversi esperti di diritto ambientale criticano una lacuna importante: la mancata introduzione del diritto legale a vivere in un ambiente sano, pulito e sostenibile. La nuova Convenzione rappresenta quindi un segnale importante, ma non sufficiente. Senza il riconoscimento giuridico del diritto a un ambiente sano, milioni di persone restano senza protezione effettiva. Secondo Sebastien Duyck, del Center for International Environmental Law, infatti, “è inaccettabile che nel 2025 l’Europa non riconosca ancora questo diritto come fondamentale”. Durante i negoziati, paesi come Svizzera e Norvegia si sono opposti all’inserimento esplicito del diritto a un ambiente sano nella Convenzione, nonostante le richieste di accademici, parlamentari e cittadini. Una scelta che rende l’Europa l’unico continente privo di un riconoscimento legale in materia.
Una strategia ambientale di lungo respiro
Oltre alla Convenzione, il Consiglio d’Europa ha adottato una strategia ambientale di lungo termine, articolata in cinque obiettivi principali: integrare i diritti umani nelle politiche ambientali, rafforzare la governance democratica in campo ecologico, tutelare gli attivisti ambientali, prevenire e perseguire i crimini ambientali, proteggere ecosistemi e paesaggi. La strategia riprende l’eredità della Dichiarazione di Reykjavík del 2023 e propone un’azione coordinata per affrontare le sfide ambientali anche dal punto di vista dei diritti e della giustizia. Si parla esplicitamente di “transizioni giuste”, partecipazione pubblica, protezione delle comunità vulnerabili e contrasto alla disinformazione.
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