Dopo quattro anni di permanenza gratuita, i nuclei familiari coinvolti nel progetto sperimentale abitativo decidono di rimanere a Luserna. Un modello di ripopolamento che funziona, quello del coliving, tra integrazione, servizi e qualità della vita.
Un’iniziativa per ripopolare la montagna
Nel cuore degli Altipiani Cimbri, a Luserna, piccolo comune trentino con meno di 300 abitanti, si è conclusa con successo la fase sperimentale del progetto “Coliving– collaborare, condividere, abitare“.
Avviata nel 2020, l’iniziativa mirava a contrastare lo spopolamento dei territori montani offrendo quattro alloggi gratuiti per altrettanti nuclei familiari provenienti dal Veneto. Dopo quattro anni di comodato gratuito, tutte le famiglie hanno scelto di restare, questa volta come affittuari, dimostrando l’efficacia del progetto nel creare legami duraturi tra nuovi residenti e comunità locale.
Il progetto nasce dalla collaborazione tra Itea (Istituto Trentino Edilizia Abitativa), il Comune di Luserna, la Provincia Autonoma di Trento e altri enti territoriali. E si fonda su un’idea chiara: promuovere il ripopolamento attraverso un modello abitativo condiviso e collaborativo. L’obiettivo era anche quello di valorizzare il patrimonio immobiliare pubblico inutilizzato, dando nuova vita agli spazi e rinforzando il tessuto sociale.
La vita in quota: perché le famiglie hanno scelto di restare
Alla scadenza del periodo di comodato gratuito, tutti i nuclei familiari coinvolti hanno manifestato la volontà di continuare a vivere a Luserna, accettando di versare un canone concordato.
Secondo Isacco Corradi, presidente della Comunità di Valle degli Altipiani Cimbri, la continuità del progetto è stata accolta con soddisfazione sia dall’amministrazione sia dalla cittadinanza. Le famiglie si sono ben integrate nel tessuto locale, entrando a far parte di realtà associative come la Pro Loco, i vigili del fuoco volontari o il coro del paese.
Tra i benefici concreti c’è stato anche il mantenimento del servizio scolastico integrato per i bambini fino ai sei anni. Che è stato possibile proprio grazie alla presenza dei nuovi residenti. Il progetto ha quindi prodotto ricadute positive anche sul piano educativo e della coesione sociale.
Coliving, un modello di welfare generativo
Il progetto Coliving è stato concepito per offrire un’alternativa concreta alla fuga dalle aree interne, con una visione che mette al centro l’abitare collaborativo come strumento di sviluppo sociale e comunitario. Secondo i promotori, si tratta di un modello che unisce politiche giovanili, abitative, sociali e lavorative per costruire nuove reti locali e rinsaldare i legami fiduciari tra residenti e nuovi abitanti.
La Fondazione Franco Demarchi ha seguito l’intero percorso: dall’ideazione del bando alla selezione delle famiglie, dall’accompagnamento alla formazione fino alla valutazione di impatto. Quest’ultima, condotta in collaborazione con l’Università degli Studi di Trento – Dipartimento di Management, si è concentrata sulle ricadute sociali ed economiche per i partecipanti e per la comunità locale, attribuibili direttamente o indirettamente al valore generato dal progetto.
Attualmente il Coliving è attivo anche a Canal San Bovo, segno che il modello è ritenuto replicabile e potenzialmente scalabile.
Dalla sperimentazione alla prospettiva futura
La sostenibilità del progetto a lungo termine è ora al centro del dibattito. Corradi ha sottolineato come, grazie al successo della prima fase, si stia valutando la possibilità di ulteriori sviluppi. Ad esempio tramite contributi per l’acquisto della prima casa, così da liberare gli alloggi Itea e metterli nuovamente a disposizione per nuove famiglie interessate a trasferirsi in montagna.
Il territorio dell’Alpe Cimbra si mostra interessato a proseguire con nuove edizioni del progetto, sfruttando anche i bandi provinciali dedicati ai comuni svantaggiati. Questi, infatti, prevedono incentivi economici fino a 100mila euro per chi sceglie di trasferirsi in paesi a rischio spopolamento.
Esperienze di integrazione e nuova quotidianità
Tra le famiglie rimaste, quella di Stefano Fabris è emblematica.
Fabris ha raccontato come la scelta di trasferirsi da Padova a Luserna sia stata motivata da una ricerca di ritmi più lenti e una qualità della vita migliore. E ha apprezzato fin da subito l’aria pulita e il contesto naturale. Anche il coinvolgimento nelle associazioni del paese ha favorito un’integrazione percepita come naturale. Tanto che Fabris ha spiegato di non sentirsi più un “forestiero”, ma un vero cittadino di Luserna.
Particolarmente positiva è stata anche l’esperienza scolastica dei figli. Il più piccolo, ad esempio, ha frequentato per un anno e mezzo il servizio integrato per l’infanzia. Due piccoli gruppi classe e una presenza educativa rafforzata da due insegnanti e una mediatrice linguistica.
Un cambiamento che lascia il segno
Quando nel novembre 2020 vennero consegnate le chiavi degli alloggi durante una cerimonia ufficiale – alla presenza dell’assessora Stefania Segnana, del presidente Itea Salvatore Ghirardini e delle autorità locali – il progetto veniva descritto come una sperimentazione. A distanza di quattro anni, si può dire che abbia avuto successo, non solo per la permanenza delle famiglie, ma per il valore sociale generato.
Il Coliving non ha solo riempito delle case vuote: ha rianimato un borgo, rafforzato il senso di comunità, garantito la presenza di bambini e famiglie laddove si temeva il declino demografico. Ha mostrato, concretamente, come politiche abitative intelligenti e coordinate possano contribuire alla rinascita di territori marginali.
Vivere in montagna non è solo una scelta economica
Se all’inizio il trasferimento poteva apparire come un’opportunità economica – vivere gratis per quattro anni in un borgo alpino – oggi è chiaro che le motivazioni che hanno spinto le famiglie a restare vanno oltre il risparmio. La decisione di continuare a pagare un affitto pur di restare in quota rivela una nuova concezione dell’abitare: più lenta, più consapevole, più vicina alla natura e ai rapporti umani autentici.
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