Standing ovation, coreografie e lacrime per l’addio di Claudio Ranieri: oltre 68.000 tifosi all’Olimpico per celebrare il tecnico romano nella sua ultima partita casalinga.
L’Olimpico si inchina a Ranieri
In una serata carica di emozione, lo Stadio Olimpico ha salutato per l’ultima volta Claudio Ranieri, tecnico simbolo del calcio italiano, alla sua ultima partita casalinga in carriera. La Roma ha ospitato il Milan in un match che è stato il palcoscenico di un tributo solenne e appassionato.
Sugli spalti, 68.530 spettatori — sold out da giorni — hanno reso omaggio al tecnico romano con una delle coreografie più imponenti mai viste nella storia recente del club. Dalla Curva Sud si è alzato un gigantesco mosaico giallorosso con il volto del mister, il nome “Claudio Ranieri” in caratteri cubitali e uno striscione che recitava: “Un grande condottiero, un romanista vero”.
L’atmosfera era quella delle grandi notti europee, ma stavolta l’avversario non era in campo: era il tempo, che Ranieri ha sfidato fino all’ultimo, guidando la Roma ancora una volta con passione e orgoglio.
Sessanta anni d’amore
Al termine della gara, Ranieri ha preso il microfono in mano e ha parlato con il cuore alla sua gente. Un discorso breve, intenso, carico di commozione: “Più di 60 anni fa ero lì in mezzo a voi. Vi ringrazio. Vi avevo chiesto aiuto per fare qualcosa di buono tutti insieme. Manca solo l’ultimo passo. Io sono orgoglioso di questi ragazzi che mi hanno seguito dal primo giorno. Ma la cosa più importante è che avete capito quanto avevamo bisogno del vostro amore”.
Lacrime, applausi, cori. Tutto lo stadio si è alzato in piedi per lui, in una standing ovation che è durata minuti interminabili. In panchina, i giocatori lo hanno abbracciato uno a uno. Persino i tifosi del Milan, in molti presenti sugli spalti, si sono uniti nel tributo. Un momento che ha superato i confini del tifo e ha celebrato l’uomo, prima ancora dell’allenatore.
Dalle giovanili della Roma alla Serie A
Nato il 20 ottobre 1951 a Testaccio, nel cuore della Capitale, Claudio Ranieri ha cominciato la sua carriera calcistica proprio nelle giovanili della Roma. Difensore arcigno e tatticamente intelligente, non ha mai indossato la maglia della prima squadra giallorossa in Serie A, ma ha costruito una solida carriera in altre piazze italiane.
Tra il 1973 e il 1982 ha collezionato più di 360 presenze tra Serie A e B con Catanzaro, Catania e Palermo, contribuendo spesso alla promozione delle sue squadre o a salvezze insperate. Non un campione, forse; ma già allora si vedevano lampi di leadership e una visione di gioco che lo avrebbero accompagnato anche una volta appese le scarpe al chiodo.
Una carriera in panchina da record
L’esordio da allenatore arriva nel 1986, ma il primo grande successo si materializza con il Cagliari: due promozioni consecutive lo portano dalla Serie C alla Serie A in appena due anni. È l’inizio di un lungo viaggio che lo vedrà protagonista in Italia e all’estero.
Ranieri ha allenato alcune delle squadre più importanti del panorama calcistico europeo: Napoli, Fiorentina (con cui ha vinto Coppa Italia e Supercoppa nel 1996), Valencia (vincitore della Coppa del Re nel 1999), Atlético Madrid, Chelsea, Juventus, Roma (per ben tre volte), Inter, Monaco, Nantes, Fulham, Watford, Sampdoria e Leicester City.
Con il Leicester ha compiuto un’impresa leggendaria: la vittoria della Premier League nel 2015-2016, considerata una delle più grandi sorprese nella storia del calcio. A inizio stagione, i bookmakers inglesi davano la vittoria delle “Foxes” a quota 5000. E invece, contro ogni pronostico, Ranieri ha trasformato un gruppo di outsider in campioni d’Inghilterra. La BBC lo definì “l’uomo che ha ridato poesia al calcio”.
Il ritorno alla Roma nel 2024: un gesto d’amore
Dopo aver annunciato il ritiro alla fine della sua esperienza a Cagliari nel 2023, Ranieri aveva giurato che non avrebbe più allenato. Ma quando la Roma, in difficoltà dopo l’esonero di Daniele De Rossi, ha bussato alla sua porta, non ha saputo dire di no. Era novembre 2024. Lui ha risposto con la dedizione di sempre, mettendo subito le cose in chiaro: sarebbe rimasto solo fino al termine della stagione, per aiutare la squadra a ritrovare equilibrio e motivazione.
E così è stato. Ranieri ha guidato la Roma in un finale di stagione complicato, risollevando un gruppo frastagliato e riportandolo a una dimensione compatta, credibile, dignitosa. Ma più dei numeri, conta il modo in cui ha ricucito il rapporto tra squadra e tifosi. E l’abbraccio dello stadio lo testimonia meglio di qualsiasi statistica.
Un legame viscerale con la città e i suoi valori
Ranieri non è stato soltanto un allenatore. È stato, prima di tutto, un uomo della città. Uno che, come tanti, è cresciuto inseguendo un pallone nei campi sterrati di periferia. Uno che ha vissuto Roma dentro e fuori dal campo, che ne ha conosciuto le gioie e le ferite. E che ha sempre portato rispetto, anche quando è stato criticato.
Il suo è un calcio che parla la lingua della fatica, della disciplina, del lavoro quotidiano. E proprio per questo ha saputo entrare nel cuore della gente. Non solo a Roma. A Valencia è ancora oggi amatissimo. A Leicester, c’è un murale che lo raffigura come un eroe. E ovunque sia andato, ha lasciato il segno, anche senza trofei.
Una lezione di stile e umanità
Nel mondo del pallone dominato da narcisismi e show, Ranieri ha rappresentato un’eccezione. Mai sopra le righe, mai polemico, sempre attento alle parole e alle persone. I colleghi lo rispettano. I tifosi lo stimano. I giocatori lo ascoltano. A testimoniarlo sono le parole di Bryan Cristante dopo la gara con il Milan: “È stato un onore lavorare con lui. Ci ha ricordato cosa vuol dire avere passione per questa maglia.”
A 73 anni, Ranieri lascia il calcio da allenatore con dignità, dopo aver dato tutto. Senza fronzoli. Senza proclami. Con un ultimo inchino sotto la Sud. E con un sorriso che racconta più di mille vittorie.
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