La cantautrice siciliana presenta Amuri Luci, che annuncia come il primo album di una trilogia che vuole esplorare le anime diverse della sua musica
«Il siciliano mi tira fuori il blues, il disagio dei canti popolari, il soul diventa quasi un urlare il disappunto. Esalta una sorta di spirito analitico, la mia parte più impegnata socialmente e criticamente. In siciliano canto di più, a voce distesa. E oggi ci sono diversi motivi per farlo». Carmen Consoli non ha dubbi sull’urgenza di proporre un nuovo album nel suo dialetto natìo, «anche se Amuri Luci non è un disco solo in siciliano, c’è il latino, il greco antico e l’arabo, perché, come diceva qualcuno, “parlare diverse lingue è come vivere diverse vite”», puntualizza.
A distanza di quattro anni dal precedente album in studio, il personale Volevo fare la rockstar, e a 10 mesi dal doppio Lp Terra ca nun senti (Live in Siracusa), pubblica Amuri Luci, che annuncia come il primo di una trilogia che vuole esplorare le anime diverse del suo fare musica: le radici mediterranee, la matrice rock e il cantautorato. «Rimpossessarci delle nostre radici ci dà forza. Non avere radici è come negare la storia e pensare che sia inutile studiarla, ci rende neoprimitivi, e ne sono spaventata. Le mie affondano nei versi dei poeti siciliani, dal greco Teocrito del III secolo a.C. all’arabo Ibn Hamdis, un profugo dell’XI secolo, da Nina da Messina – la prima donna a poetare in volgare nel Duecento – alla passionale Graziosa Casella di inizio ’900, a Ignazio Buttitta, che meritava il premio Nobel».
Poesie che avvicendano i testi della stessa Consoli su tematiche contemporanee e sociali (la battaglia contro la mafia di Giovanni Impastato, a continuare l’opera del fratello assassinato Peppino, l’opportunismo di certa politica, il maschilismo, l’incontinenza verbale dei commentatori tv) in un disco denso, ricco. Un lavoro che incrocia allure tradizionali a sonorità contemporanee, che passa dal world rock intenso alla ballata d’amore, dalla poesia sonorizzata al pop elettrico, con il contributo in quattro canzoni dell’Orchestra popolare siciliana e i featuring di Mahmood, Jovanotti e del tenore Leonardo Sgroi. Un disco che Consoli sta portando in tour nei teatri fino alla fine di dicembre.
«I concetti di amore e luce sono quasi sinonimi, l’amore è luce, luce è amore. Sono due parole extrasociali sulle quali bisognerebbe investire. In nome dell’amore si compiono degli atti eroici che creano valore oggi. Ciò che nutre il nostro animo davvero non è il denaro, ma un po’ d’amore e di luce, che sono anche conoscenza. La rivoluzione che ci auguriamo adesso è quella culturale: con la consapevolezza si allontana il male, con la conoscenza si allontana il brutto».
Come è nato questo suo viaggio attraverso i secoli?
Questo viaggio è una connessione tra personaggi che sono esistiti, che hanno fatto parte della mia terra e che oggi sento battere nel mio cuore. Loro mi hanno suscitato la voglia di scrivere, di fare un qualcosa che non avevo mai fatto prima. Sto cominciando uno stile nuovo, che coglie dal passato e che ne rimette insieme dei pezzi, utilizzando un siciliano che ho rinnovato con termini moderni, è un po’ ‘consoliano’, e rispolverando poesie antiche. Ne è venuta fuori un’altra Carmen che ha sorpreso me stessa, più impegnata sul sociale. Sono uscita da me, non parlo di me, ma della me che filtra le cose che vede intorno. Ed è la lingua che mi ha portato a tutto ciò.
Non la preoccupa che il siciliano sia faticoso per le normali fonti di comunicazione?
In effetti sembra che noi lavoriamo per non avere successo, ma mi dà felicità realizzare un progetto nel quale credo. È un ostacolo per me scrivere qualcosa di cui non sono convinta per andare in radio. Vari docenti mi hanno aiutata in questa ricerca di mettere insieme le voci nell’arco del tempo. A creare una nuova connessione con i secoli passati, sentendo a distanza il cuore di chi prima di noi ha calcato questo suolo. Una connessione emotiva, un codice genetico della memoria che ci fa capire come tutti noi siamo numeri complessi, che non si possono indagare. Siamo infinito.
Lei crede che il mondo che ci circonda stia cambiando?
Credo che la storia si ripeta, per cui è fondamentale studiarla bene, riconoscerla, per non ricadere negli errori. Non ci rendiamo a volte conto di aver vissuto un’evoluzione tecnologica enorme e dall’altra parte un’involuzione umana. Il dio cui obbediamo non è più cristiano o musulmano o altro, è il dio denaro. Sono convinta che bisogna investire su valori come amore e felicità, che però richiedono un tempo fisiologico, umano. Tutto il correre contemporaneo non aumenta i profitti della felicità. Il dio denaro e il suo esercito di diavoli armati sta creando tutto quel che stiamo vivendo e io lo considero il mio maggiore nemico. Però qualcosa di positivo succede. Ci stiamo accorgendo che noi siamo gli altri, e gli altri sono noi. Nel senso che, se il mondo è felice noi siamo felici, se noi siamo felici possiamo contribuire alla felicità degli altri.
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