L’industria missilistica in crescita rischia di vanificare 40 anni di sforzi ambientali. Tutta colpa delle mega-costellazioni satellitari
La nuova era dell’esplorazione spaziale commerciale potrebbe compromettere la riparazione del buco dell’ozono. La scoperta è di un team internazionale guidato dall’Università di Canterburyche ha pubblicato sulla rivista NPJ Climate and Atmospheric Science una ricerca che ridefinisce completamente la comprensione dell’impatto spaziale sull’ambiente. Negli ultimi 10 anni l’industria spaziale ha vissuto una vera e propria rivoluzione. Nel 2019 si sono verificati 102 lanci di razzi in tutto il mondo, che nel 2024 sono diventati 258, in ulteriore aumento per tutto il 2025.
La corsa spaziale: migliaia di satelliti da sostituire ogni 5 anni
Questa crescita esplosiva dipende principalmente da motivi economici: si sta sviluppando rapidamente un vero e proprio business spaziale che prevede la messa in orbita di enormi costellazioni di satelliti – migliaia, a volte decine di migliaia di dispositivi – a circa 250-600 chilometri dalla superficie terrestre. Queste mega-costellazioni richiedono tantissimi lanci, anche perché i dispositivi hanno vita breve: a quelle altitudini subiscono ancora l’attrito dell’atmosfera residua, che li rallenta fino a farli precipitare e bruciare completamente nel giro di 5-10 anni. Per questo vanno continuamente sostituiti con nuovi lanci. Nel frattempo, nascono nuove basi di lancio in tutto il mondo, anche se la maggior parte rimane ancora concentrata nell’emisfero nord.
L’altra faccia dei lanci spaziali
La caratteristica principale delle emissioni prodotte dai lanci spaziali risiede nella loro persistenza atmosferica. Come spiega Sandro Vattioni, co-autore dello studio, questi inquinanti permangono nell’alta atmosfera fino a 100 volte più a lungo rispetto alle emissioni terrestri. La ragione è semplice ma preoccupante: nell’atmosfera superiore mancano i meccanismi naturali di rimozione che normalmente puliscono l’aria a quote più basse. Il buco dell’ozono subisce quindi un attacco prolungato da sostanze che si diffondono nel mondo attraverso la circolazione atmosferica. Nonostante la maggior parte dei lanci avvenga nell’emisfero settentrionale, gli inquinanti raggiungono ogni angolo del pianeta, creando un problema planetario che trascende i confini geografici.
Scenari futuri preoccupanti
I ricercatori hanno utilizzato modelli climatici avanzati per simulare l’impatto delle emissioni spaziali previste fino al 2030. Lo scenario ipotizzato prevede 2.040 lanci annuali, circa otto volte quelli attuali. I risultati sono inquietanti: lo spessore medio globale dell’ozono diminuirebbe dello 0,3%, con riduzioni stagionali che potrebbero raggiungere il 4% sull’Antartide. Questi numeri acquisiscono un significato importante considerando che il buco dell’ozono si sta riprendendo lentamente. Attualmente, infatti, lo strato protettivo rimane del 2% più sottile rispetto ai livelli preindustriali, con un recupero completo previsto non prima del 2066. Le nuove emissioni spaziali potrebbero ritardare questo traguardo di anni o addirittura decenni.
I colpevoli dell’assottigliamento del buco dell’ozono
Due sostanze principali minacciano l’integrità dello strato di ozono: il cloro gassoso e le particelle di fuliggine prodotte dai motori dei razzi. Il cloro agisce come un distruttore molecolare, spezzando letteralmente le molecole di ozono che ci proteggono dalle radiazioni ultraviolette. Le particelle di fuliggine, invece, riscaldano l’atmosfera accelerando le reazioni chimiche che degradano ulteriormente la barriera protettiva. La tecnologia attuale offre una soluzione: i combustibili criogenici come ossigeno liquido e idrogeno hanno un impatto trascurabile sul buco dell’ozono. Tuttavia, solo il 6% dei lanci attuali utilizza questa tecnologia più pulita, evidenziando un ‘gap tecnologico’ che l’industria spaziale deve colmare.
Il problema del rientro satellitare
Lo studio ha considerato solo le emissioni durante la fase di lancio, tralasciando un aspetto cruciale: il rientro dei satelliti. La maggior parte dei dispositivi in orbita terrestre bassa termina la propria vita operativa bruciando nell’atmosfera, generando ulteriori inquinanti. “Con l’aumento delle costellazioni satellitari, le emissioni da rientro diventeranno più frequenti e l’impatto totale sullo strato di ozono sarà probabilmente ancora maggiore rispetto alle stime attuali”, ha dichiarato Sandro Vattioni, coautore dello studio. Una previsione che rende urgente l’adozione di contromisure sostenibili. Le soluzioni proposte finora includono il monitoraggio sistematico delle emissioni, la riduzione dei carburanti che producono cloro e fuliggine e la promozione di sistemi di propulsione alternativi più puliti.
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