La presidente Giovanna Frosini guida le iniziative di un’istituzione che usa podcast e digitale per far dialogare l’intellettuale bilingue con le nuove generazioni
A 650 anni dalla morte la figura di Giovanni Boccaccio è tutt’altro che polverosa. Dalla dimora storica dello scrittore, a Certaldo, l’Ente Nazionale a lui dedicato lavora per svelarne il volto più complesso e moderno: padre della narrativa in volgare, intellettuale bilingue, ponte tra Medioevo e Umanesimo, capace di dialogare con i classici e, al tempo stesso, creatore del mito di Dante, persino lettore pubblico del Sommo Poeta. Oggi, grazie all’Ente, parla ai giovani attraverso nuovi linguaggi, dai podcast ai progetti digitali. A guidarci attraverso le iniziative e la missione di un’istituzione che custodisce un messaggio di straordinaria attualità è la sua presidente, Giovanna Frosini.
Presidente, quali sono le attività e la missione dell’Ente Nazionale Giovanni Boccaccio?
L’Ente Nazionale Giovanni Boccaccio, fondato a metà ’900, è un’istituzione di studio e ricerca molto dinamica, la cui costante attività è emersa con gli ultimi due centenari: quello del 2013, per i 700 anni della nascita dello scrittore, e questo del 2025. Oltre agli studi su Boccaccio e alla diffusione della sua conoscenza tra le generazioni più giovani, si prefigge di valorizzare il legame con Certaldo, paese dove si trova la dimora storica dello scrittore e in cui ha sede lo stesso Ente. L’Ente, negli anni, ha rafforzato le collaborazioni con istituzioni di ricerca e associazioni, stabilito convenzioni con varie università italiane, con l’Accademia della Crusca e anche con centri di studio stranieri come a Tours, in Francia, o l’American Boccaccio Association.
Boccaccio è spesso ricordato per il Decamerone, ma quali sono i temi o le opere minori che ancora oggi offrono spunti di riflessione?
Con autori come Dante, Petrarca e Boccaccio è un po’ ingiusto parlare di opere minori. In realtà sono tutte importanti. Boccaccio, ad esempio, è stato un autore bilingue. Scriveva in volgare fiorentino e in latino. Innovatore, esploratore di generi nuovi, autore di opere come L’elegia di Madonna Fiammetta, un grande romanzo psicologico d’amore, o Teseida, un poema in ottave, è stato anche un grande umanista. Lo dimostrano le opere di cultura latina e di riscoperta della tradizione classica. I suoi studi sulla vita del Sommo Poeta sono confluiti ne Il trattatello in laude di Dante, una biografia ricca di testimonianze dirette. È stato il primo “dantista”, come è stato il primo lettore pubblico della Commedia, antesignano dei vari Carmelo Bene, Vittorio Sermonti e Roberto Benigni.
Terminate le celebrazioni per i 650 anni dalla morte, quali saranno le altre iniziative?
Il 2025 è stato molto intenso tra studi, ricerche ed eventi aperti al pubblico. Uno in particolare – una lettura teatrale con testi di Boccaccio, Dante e Cavalcanti a fine ottobre, nel Cenacolo di Santa Croce – ha avuto un tale successo di pubblico che pensiamo di riproporlo come evento di punta nel 2026. Ci saranno settimane di formazione per i giovani studiosi, convegni a Certaldo e non solo, lettura e spiegazione delle opere, lettura continua del Decamerone attraverso una compagnia teatrale. Quest’ultima è persino possibile ascoltarla come podcast su Spotify. E poi ancora ricerche, borse di studio per i giovani, la realizzazione di un vocabolario digitale del Decamerone e la collaborazione con importanti case editrici.
La produzione di Boccaccio ha segnato il passaggio dal Medioevo all’Umanesimo. Qual è il contributo più duraturo che ha lasciato in questo senso?
La realizzazione di opere latine come il De mulieribus claris e il De montibus, testimoniano lo studio e la riscoperta della cultura classica che Boccaccio attua in continuo dialogo con Petrarca. Rispetto a quest’ultimo, però, comincia a conoscere il greco. Pertanto, è stato davvero uno dei pilastri dell’Umanesimo, aprendo alla riscoperta filologica della cultura classica nella sua doppia accezione di latina e greca. Inoltre, dato il legame che sentiva verso Dante e Petrarca, possiamo considerarlo il vero fondatore della tradizione letteraria italiana, cioè in volgare fiorentino. Siamo infatti a metà del ’300 quando scrive il Decamerone: è allora che si forma la coscienza della tradizione letteraria in volgare.
Quali sono le strategie che l’Ente sta adottando per avvicinare i giovani a Boccaccio?
Per gli studiosi universitari c’è la scuola di formazione che mette in contatto i giovani con i vari esperti di Boccaccio. A loro è riservato un convegno in cui esporre le proprie ricerche, pubblicate poi in un volume di Atti. Per la scuola primaria, secondaria e persino la materna ci sono progetti basati su attività di lettura, teatro e drammatizzazione delle novelle o che favoriscono la creazione di prodotti digitali, come un’audioguida realizzata dagli stessi ragazzi per i coetanei che vengono in gita a Casa Boccaccio. Inoltre, abbiamo collaborato all’ultima edizione delle Olimpiadi di Italiano, anche questa dedicata a Boccaccio.
“Boccaccesco” è diventato un termine conosciuto da tutti, una sorta di marchio di fabbrica. Se dovesse scegliere una singola parola per definire l’eredità lasciata da Boccaccio, quale sarebbe?
Userei la parola “rigenerazione”. Perché Boccaccio ha rigenerato la cultura classica in Occidente, mettendo le basi dell’Umanesimo con Petrarca. Questo Umanesimo ha poi prodotto una nuova tradizione culturale, la riscoperta del latino, la filologia classica e da lì è passato al resto d’Europa. Lo stesso messaggio di rigenerazione è nel Decamerone. Partendo da una tragedia, una pandemia – la peste del 1348, e noi abbiamo vissuto qualcosa di simile qualche anno fa -, da una situazione di disfacimento che ha portato la morte fisica e la rovina dei rapporti umani e sociali, ci insegna attraverso i dieci protagonisti come ricostruire una società nuova, basata sull’onestà dei comportamenti, sulla razionalità, sulla riscoperta dei legami. Ci insegna che la rigenerazione dei valori umani è possibile anche dopo momenti di crisi epocale.
© Riproduzione riservata
