La scoperta di un deposito da quasi 500 milioni di tonnellate di “oro bianco” rafforza la leadership di Pechino sulle auto elettriche. Una supremazia costruita con una precisa strategia industriale che ha già portato il colosso BYD a superare Tesla. Nel frattempo UE e USA tentano una, timida, reazione al dominio della Cina.
Un cambio di prospettiva
Solo qualche anno fa l’auto del futuro si immaginava con passaporto americano o, al più, europeo. Oggi il futuro, e in gran parte già il presente, della mobilità elettrica parla mandarino. Pechino ha consolidato in modo quasi definitivo il suo ruolo di baricentro strategico, industriale e tecnologico nel settore delle auto a zero emissioni.
La mossa che rischia di assestare un colpo definitivo agli avversari è recentissima. La scoperta di un enorme giacimento di litio da oltre 490 milioni di tonnellate di minerale grezzo nella contea di Linwu, provincia di Hunan. Questa risorsa, cruciale per le batterie, potrebbe proiettare la Repubblica Popolare Cinese al vertice della classifica mondiale per riserve di quello che è ormai definito “l’oro bianco” del ventunesimo secolo.
Una scoperta che oltre ad essere un vero colpo di fortuna, è anche il tassello più recente di una strategia pianificata da anni per dominare l’intera filiera dell’elettrico.
L’ascesa cinese nel mercato delle auto elettriche
A ben vedere, i numeri del dominio cinese sono impressionanti. Secondo le stime dell‘Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), nel suo “Global EV Outlook 2025“, tra il 2017 e il 2023, la produzione di veicoli elettrici nel Paese del Dragone ha registrato una crescita sbalorditiva del 13.300%. Arrivando a rappresentare una quota del 58% delle vendite mondiali. All’inizio del 2025, questa quota ha sfiorato i due terzi del mercato globale.
Questa scalata ha avuto una “vittima” illustre proprio nell’americana Tesla. Nel primo quadrimestre del 2025, il gigante cinese BYD (Build Your Dreams) ha ufficializzato il sorpasso, diventando il primo produttore mondiale di auto elettriche. Una crescita confermata anche nei trimestri successivi, con BYD che tra aprile e giugno 2025 ha consegnato quasi 607.000 veicoli contro i 384.000 di Tesla, segnando una crescita del 42,5% a fronte di un calo del 13% per la rivale statunitense.
Questo successo poggia su due pilastri fondamentali. Il controllo quasi totale della catena di approvvigionamento dei materiali critici e una politica statale aggressiva fatta di sussidi miliardari, obiettivi di produzione imposti alle aziende e normative favorevoli.
La strategia del Dragone
Il nuovo giacimento di litio, che secondo le stime potrebbe fruttare oltre 1,3 milioni di tonnellate di ossido di litio, è la ciliegina sulla torta. La Cina possedeva già il 16,5% delle riserve globali accertate nel 2025, seconda solo al Cile, ma il suo vero punto di forza è un altro: il quasi monopolio sulla raffinazione.
Pechino controlla già oggi oltre il 70% della capacità mondiale di raffinazione del litio e percentuali simili per altri materiali indispensabili come il cobalto e il nichel. A questo si aggiunge una politica sempre più restrittiva sulle esportazioni. Il governo cinese ha imposto licenze obbligatorie per l’export di tecnologie e materiali chiave per le batterie, come il litio-ferro-fosfato (LFP) e le conoscenze legate alla produzione di carbonato di litio. Una mossa giustificata con motivi di “sicurezza nazionale”. In questo modo, Pechino non solo rende le proprie auto più competitive, ma tiene di fatto in ostaggio i produttori occidentali, che dipendono dalla sua filiera.
La difficile reazione di UE e USA al dominio cinese
Bruxelles e Washington hanno tentato di reagire, ma si muovono in ordine sparso e con notevoli difficoltà. L’Unione Europea ha varato a fine 2024 dazi aggiuntivi sulle auto elettriche cinesi per contrastare gli effetti dei sussidi statali di Pechino.
Le aliquote variano. Il 17% su BYD, 18,8% su altre case automobilistiche come Geely e il 35,3% su SAIC, con una tariffa del 20,7% applicata anche ai modelli di marchi occidentali come Volkswagen e BMW prodotti in Cina. Una mossa che però non sembra frenare l’avanzata cinese, con le case automobilistiche che ora puntano a esportare in Europa un numero crescente di veicoli con motori termici per aggirare le tariffe. Esiste anche il sospetto, sollevato dall’eurodeputato Yannis Maniatis, che alcuni produttori stiano usando Paesi come la Turchia (legata all’Europa da un’unione doganale) per assemblare veicoli ed eludere i dazi.
Gli Stati Uniti, d’altra parte, sono impelagati in una guerra commerciale più ampia. L’amministrazione Trump ha imposto dazi che in pochi mesi hanno visto un’escalation fino a toccare il 145%, poi scesi al 30% dopo un accordo temporaneo. Il vero tallone d’Achille per gli USA, però, è la dipendenza dalla Cina per le materie prime critiche e per il mercato stesso. La Cina, infatti, è il secondo sbocco commerciale per Tesla, che gode di un rapporto privilegiato con il governo di Pechino rispetto ad altri costruttori stranieri.
“Non è tutto litio quello che luccica”
Il poderoso sviluppo dell’industria cinese, però, presenta anche delle controindicazioni interne. Il sistema di massicci sussidi governativi e di target di produzione estremamente ambiziosi ha innescato una spirale di sovrapproduzione. Il mercato interno, il più grande del mondo, è diventato un campo di battaglia dove più di 200 produttori si sfidano in una feroce guerra dei prezzi, erodendo i margini di profitto per tutti.
Questa competizione spietata sta mettendo in ginocchio le aziende più piccole e meno strutturate, favorendo un consolidamento attorno ai colossi come BYD. Esiste inoltre il rischio, come emerso in alcuni casi recenti, che le aziende siano incentivate a falsificare i dati di vendita per raggiungere gli obiettivi imposti e assicurarsi i sussidi, vitali per sopravvivere in un contesto così aggressivo. Lo stesso governo cinese ha recentemente dichiarato di voler adottare misure per frenare la costruzione “cieca” di nuovi impianti e arginare la “concorrenza disordinata”.
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