Uno studio della LIUC Business School (Università Carlo Cattaneo) ha analizzato nel dettaglio l’assistenza e i costi reali per i pazienti con demenza nelle Residenze Sanitarie Assistenziali (Rsa). Emerge un sistema sottofinanziato e un quadro normativo incerto che mette a rischio la tenuta delle strutture.
Sempre più anziani, sempre meno assistenza
L’Italia invecchia ma la rete di assistenza per la terza età mostra segni di affanno. Un paradosso che emerge con forza quando si parla di Residenze sanitarie assistenziali (RSA). A fronte di una media OCSE di 40 posti letto ogni mille anziani, il nostro paese si ferma a 22, con un divario ancora più marcato nelle regioni del Sud.
Una situazione critica, che solleva interrogativi urgenti su qualità dell’assistenza, costi e sostenibilità. Un nuovo studio, della LIUC Business School, getta una luce inedita su una delle sfide più complesse: la gestione dei malati di Alzheimer all’interno di queste strutture.
Lo studio che fotografa l’assistenza in RSA
Per la prima volta, l’Osservatorio settoriale sulle RSA della LIUC Business School ha messo sotto la lente d’ingrandimento la quotidianità di un Nucleo Alzheimer, analizzando nel dettaglio la tipologia e la quantità di assistenza erogata.
Antonio Sebastiano, direttore dell’Osservatorio, ha spiegato che l’obiettivo era creare una fotografia precisa delle attività fornite. I risultati, raccolti in una struttura lombarda di riferimento come Villaggio Amico, sono chiari. Ogni ospite riceve in media 1.221 minuti di assistenza a settimana, considerando solo il personale standard come medici, infermieri, fisioterapisti ed educatori. La sorpresa sta nella composizione di questo tempo: ben il 63,1% è dedicato ad attività di natura puramente assistenziale, svolte in larga parte da operatori socio-sanitari (ASA/OSS). La componente sanitaria si attesta al 25,2%, mentre la restante quota (11,6%) copre prestazioni di tipo alberghiero.
Quanto costa realmente l’assistenza per un malato di Alzheimer?
Se si allarga l’analisi includendo tutto il personale che opera nella struttura – dalla direzione ai servizi di pulizia e ristorazione – il monte ore settimanale per ospite sale a 1.548 minuti.
In questo quadro più completo, la dimensione sanitaria scende al 20%, quasi eguagliata da quella alberghiera. La componente assistenziale rimane predominante, attestandosi al 50%. Ma quanto costa tutto questo? Lo studio ha calcolato un costo giornaliero totale di circa 162 euro per paziente. Di questa cifra, solo il 15,8% è legato a costi sanitari diretti, come farmaci e prestazioni mediche. Il dato più rilevante è un altro: quasi la metà della spesa, il 49,3%, è assorbita dai costi generali, che comprendono amministrazione, utenze, manutenzione e ammortamenti.
Questo dimostra, secondo Sebastiano, che anche in un contesto ad alta complessità come un nucleo Alzheimer, la matrice di costo prevalente non è quella sanitaria, bensì quella assistenziale e gestionale.
Poche strutture, sostenibilità a rischio
Questi numeri si scontrano con una realtà economica precaria. La sostenibilità delle Rsa, come sottolineato dall’Osservatorio, è tutt’altro che garantita. I contributi pubblici, pur essendo aumentati, spesso non riescono a coprire i costi reali di un’assistenza di qualità.
Molte strutture operano in perdita o con margini risicatissimi. Questo scenario, unito alla carenza strutturale di posti letto, crea una tempesta perfetta. L’invecchiamento della popolazione e la progressiva diminuzione dei caregiver familiari aumenteranno la domanda di assistenza residenziale, ma l’offerta rischia di non essere in grado di rispondere. Il rischio, concreto, è che molte Rsa siano costrette a chiudere, lasciando scoperti i bisogni di migliaia di famiglie e di anziani non autosufficienti.
Il nodo legale. Chi paga le spese?
A complicare ulteriormente il quadro interviene un groviglio normativo e giurisprudenziale. La regola generale prevede che la retta di una Rsasia divisa a metà: le spese sanitarie sono a carico del Servizio Sanitario Nazionale, mentre quelle “alberghiere” sono a carico del paziente o della sua famiglia, con eventuale integrazione del Comune in base all’ISEE.
Tuttavia, una serie di sentenze della Corte di Cassazione ha scardinato questo principio. I giudici hanno stabilito che per pazienti in condizioni gravissime, dove l’assistenza è inscindibile da quella sanitaria, l’intero costo del ricovero debba essere a carico del SSN. Massimo Riboldi, presidente di Villaggio Amico e dell’Associazione RisoRSA, evidenzia come questa interpretazione crei un paradosso. Spesso, infatti, i rimborsi richiesti dalle famiglie ricadono direttamente sulle Rsa, che non hanno modo di rivalersi sulla sanità pubblica. Servono – secondo Riboldi – leggi chiare e rimborsi certi; ricordando come in Lombardia il contributo per un ospite sia di circa 45 euro al giorno, la metà di quanto previsto a livello nazionale.
Una riforma non più rimandabile
L’avvocato Andrea Lopez, esperto di diritto sanitario, conferma la criticità della situazione. Le sentenze della Cassazione, a suo dire, presentano difetti interpretativi e scaricano un “rischio imprenditoriale” insostenibile sui gestori.
Se le Rsa, messe alle strette, iniziano a fallire, a pagare il prezzo più alto saranno la continuità del servizio e i posti di lavoro. Riconoscere la gratuità del ricovero a tutti coloro che rientrano nei criteri indicati dalla Cassazione metterebbe in ginocchio l’intero sistema sanitario nazionale. E la via d’uscita non può arrivare solo dalle aule di tribunale. La strada da seguire è una profonda riforma legislativa che definisca in modo inequivocabile cosa spetta al cittadino e cosa al servizio pubblico.
Una scelta politica non più rimandabile, per garantire un futuro dignitoso all’assistenza degli anziani.
Foto in apertura, l’ingresso della LIUC Business School: Facebook.com/LIUCBS
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