Tra spopolamento, scarsa istruzione e migrazioni, gli anziani delle aree interne vivono sfide profonde. La differenza la fanno cultura e resilienza
Nelle aree interne italiane, l’invecchiamento della popolazione si accompagna a fenomeni strutturali come lo spopolamento, la fuga dei giovani e una scarsa attrattività per l’immigrazione. Si tratta di territori lontani dai grandi centri urbani, spesso difficili da raggiungere e privi di servizi essenziali. In questo contesto, gli anziani nelle aree interne vivono una condizione di maggiore fragilità sociale rispetto alla media nazionale. Secondo l’ultimo rapporto Istat disponibile sul tema, qui, infatti, è più frequente la presenza di anziani soli o in coppia senza figli. Una situazione che rende più debole la rete informale di supporto – quella fatta di famiglia, amici e vicinato – sulla quale spesso si fonda il benessere quotidiano delle persone più avanti con gli anni.
Istruzione carente e capitale umano ridotto
Uno degli elementi che incide maggiormente sulla tenuta sociale di questi territori è il livello di istruzione. Nei Comuni delle aree interne, i residenti tra i 25 e i 64 anni in possesso di un diploma sono il 64,5%, contro il 67,2% delle altre zone. Il divario si fa ancora più netto tra gli ultrasessantacinquenni: solo il 25,9% possiede un diploma, a fronte del 34% registrato nei centri urbani. Il basso livello di istruzione degli anziani nelle aree interne rappresenta un indicatore di vulnerabilità, poiché ostacola l’accesso ai servizi, alla tecnologia e alle opportunità culturali. Ma anche lo sviluppo locale ne risente: dove manca capitale umano qualificato, è più difficile attrarre investimenti, trattenere i giovani e innovare. La conseguenza è un circolo vizioso che alimenta l’isolamento e la marginalizzazione.
La mappa delle distanze
L’Istat suddivide i Comuni italiani in cinque categorie, a seconda della facilità di accesso ai servizi fondamentali: “polo”, “cintura”, “intermedi”, “periferici” e “ultraperiferici”. Le aree interne includono le ultime tre, caratterizzate da tempi di percorrenza superiori ai 30 minuti per raggiungere scuole, ospedali o stazioni. Nei Comuni “ultraperiferici”, servono addirittura più di 65 minuti. In queste zone vivono oltre 13 milioni di persone, circa un quarto della popolazione italiana. E se il disagio riguarda tutti, a pagarne il prezzo più alto sono spesso gli anziani, che si trovano a dover affrontare lunghi spostamenti per cure mediche o servizi essenziali, senza una rete familiare di sostegno.
Spopolamento e natalità in calo
La crisi demografica è particolarmente intensa nelle aree interne. Tra il 2014 e il 2024, la popolazione è diminuita del 5%, contro il 2,2% della media nazionale. Nei Comuni più periferici, la contrazione tocca punte del -7,7%. A rendere ancora più allarmante il quadro è il calo delle nascite: nei Comuni ultraperiferici, tra il 2008 e il 2023, il tasso di natalità è sceso del 36,1%. Anche la crescita naturale risulta negativa: -5,8 abitanti ogni mille, contro il -4,8 nazionale. Il risultato è un tessuto sociale in cui gli anziani nelle aree interne costituiscono una quota crescente, spesso senza il ricambio generazionale necessario a mantenere viva la comunità.
Giovani in fuga, pochi ritorni
Il fenomeno migratorio interno conferma questa tendenza: tra il 2002 e il 2023, quasi 3,5 milioni di persone si sono trasferite dalle aree interne verso i centri urbani. A questi si aggiungono gli espatri, tornati a crescere dopo la pandemia. Nel solo 2023, il tasso di emigrazione all’estero dalle aree interne è stato di 2,3 espatri ogni mille abitanti, contro l’1,8 nazionale. Questo esodo colpisce duramente il futuro dei territori e contribuisce a isolare ancora di più gli anziani nelle aree interne, spesso lasciati soli in paesi sempre più vuoti e con servizi sempre più scarsi.
Le risorse (inattese) del territorio
Nonostante questo quadro critico, le aree interne non sono prive di risorse. Più di un Comune su quattro ospita almeno un museo, un monumento o un sito archeologico. Gallerie d’arte, castelli, edifici religiosi e altre testimonianze del passato raccontano una storia ricca di cultura e identità. Nel 2022, questi luoghi sono stati visitati da circa 13,8 milioni di persone, tra cui 4,3 milioni di turisti stranieri. Questa vitalità culturale può diventare una leva di sviluppo, soprattutto se si coinvolgono le comunità locali – inclusi gli anziani nelle aree interne – nella valorizzazione del patrimonio. Favorire il turismo lento, l’artigianato, l’agricoltura sostenibile e i servizi di prossimità può contribuire a costruire un futuro più inclusivo e resiliente.
Costruire comunità, non solo infrastrutture
La sfida, dunque, non è solo infrastrutturale. Serve un investimento sociale e umano che rimetta al centro le persone, in particolare quelle più fragili. Gli anziani nelle aree interne non devono essere visti solo come destinatari di cure o assistenza, ma come risorse attive in grado di contribuire al benessere collettivo. Riattivare legami comunitari, promuovere la partecipazione civica, creare spazi di incontro e collaborazione intergenerazionale può fare la differenza. Perché un’Italia che sa prendersi cura delle sue periferie è un Paese che non lascia indietro nessuno.
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