A mezzo secolo dal celebre incontro in orbita tra la navicella americana e quella sovietica, si celebra un evento riconosciuto come un capolavoro di diplomazia. Un gesto che ha gettato le basi per la Stazione Spaziale Internazionale e la moderna cooperazione cosmica.
L’incontro storico tra Usa e Urss
Cinquanta anni fa, il 18 luglio, a 222 chilometri sopra la crosta terrestre, la Storia prese una piega inaspettata. In quel giorno due veicoli spaziali appartenenti a nazioni rivali, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, si unirono in un “abbraccio meccanico”.
Il comandante della navicella americana Apollo, Thomas Stafford, e il comandante della capsula sovietica Soyuz 19, Aleksey Leonov, si strinsero la mano attraverso il portello che collegava i due mezzi. Un gesto semplice, umano, ma dal peso politico enorme. In piena Guerra Fredda, lo spazio smetteva di essere un campo di battaglia ideologico per trasformarsi in un ponte per il dialogo. La missione, nota come Apollo-Soyuz Test Project (ASTP), non fu solo una prodezza tecnologica, ma il primo, fondamentale passo verso una collaborazione che avrebbe cambiato per sempre l’esplorazione spaziale. “Piacere di vederti”, disse Leonov in inglese. “Molto felice”, rispose Stafford in russo. In quelle poche parole c’era tutta la speranza di un futuro diverso.
La “corsa allo Spazio”
Per comprendere la portata rivoluzionaria della missione Apollo-Soyuz, è necessario fare un passo indietro. Dalla fine degli Anni ’50, Stati Uniti e Unione Sovietica erano impegnati in una “corsa allo Spazio” senza esclusione di colpi. Dal lancio del primo satellite, lo Sputnik, nel 1957, al primo uomo in orbita, Jurij Gagarin, l’URSS aveva collezionato una serie di primati che avevano scosso l’orgoglio americano.
La risposta di Washington fu il Programma Apollo, un colossale sforzo industriale e scientifico culminato con lo sbarco sulla Luna nel 1969. Questi successi erano una dimostrazione di potenza tecnologica e, implicitamente, di superiorità del proprio modello politico ed economico.
Eppure, all’inizio degli Anni ’70, il clima iniziò a cambiare. L’era della distensione promossa dal presidente americano Richard Nixon e dal leader sovietico Leonid Brezhnev, creò un’apertura per la cooperazione. L’idea di una missione congiunta, proposta inizialmente per creare sistemi di aggancio compatibili per eventuali salvataggi spaziali, divenne un potente strumento diplomatico.
Gli ostacoli erano enormi, non solo politici ma anche tecnici: le due navicelle erano radicalmente diverse, con atmosfere interne incompatibili e sistemi di aggancio che non potevano comunicare. Fu necessario progettare e costruire da zero un “Modulo di Aggancio” speciale, una sorta di camera d’aria e adattatore che permise alle due capsule di unirsi.
Apollo-Soyuz, la diplomazia ad alta quota che superò le barriere
I tre anni che precedettero il lancio, dal 1972 al 1975, furono un intenso periodo di lavoro congiunto. Astronauti e cosmonauti si addestrarono insieme, sia a Houston che nella “Città delle Stelle” vicino a Mosca, imparando l’uno la lingua dell’altro e superando decenni di diffidenza reciproca. La missione in sé fu un successo impeccabile. Dopo i lanci avvenuti il 15 luglio 1975, l’Apollo e la Soyuz si agganciarono due giorni dopo. Per 44 ore, i due equipaggi lavorarono fianco a fianco, conducendo esperimenti scientifici, condividendo pasti e scambiandosi doni simbolici, come bandiere e semi di alberi da piantare sulla Terra.
L’evento fu trasmesso in mondovisione e l’immagine di Stafford e Leonov, seguiti dai loro compagni di equipaggio Vance Brand, Deke Slayton e Valery Kubasov, che fluttuavano insieme in assenza di gravità, divenne l’emblema della distensione. Fu la prova tangibile che la collaborazione tra le due superpotenze non solo era possibile, ma poteva portare a risultati straordinari per l’intera umanità.
Da una stretta di mano, la Stazione Spaziale Internazionale
Sebbene le tensioni tra USA e URSS si sarebbero riaccese negli anni successivi, il seme della collaborazione piantato con l’Apollo-Soyuz non morì. Quella missione pionieristica creò un precedente fondamentale. Le conoscenze tecniche acquisite, in particolare sullo sviluppo di sistemi di aggancio universali come l’APAS (Androgynous Peripheral Attach System), si rivelarono cruciali.
L’eredità più diretta e grandiosa dell’ASTP si manifestò vent’anni dopo, con il programma Shuttle-Mir (1995-1998), in cui gli space shuttle americani si agganciarono ripetutamente alla stazione spaziale russa Mir. Questa fase di cooperazione fu il vero e proprio trampolino di lancio per il progetto più ambizioso mai intrapreso dall’uomo nello spazio: la Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Senza la fiducia e l’esperienza accumulate a partire da quella stretta di mano del 1975, sarebbe stato impensabile costruire e operare un avamposto orbitale multinazionale come la ISS, dove astronauti di diverse nazioni vivono e lavorano insieme da oltre due decenni.
Oggi, la cooperazione sulla Stazione Spaziale Internazionale tra Stati Uniti e Russia prosegue, sebbene il futuro appaia più incerto, con accordi di collaborazione che si estendono attualmente fino al 2028-2030.
© Riproduzione riservata