La rinuncia alle cure tra gli over 65 scende dal 23% al 18%, ma nelle regioni meridionali e per chi ha difficoltà economiche tocca il 40%. Liste d’attesa oltre i 100 giorni, costi che superano i 40 miliardi di euro annui per le famiglie e servizi difficili da raggiungere.
Un calo che nasconde fratture profonde
L’Istituto superiore di sanità ha pubblicato i dati della sorveglianza Passi d’Argento sulle rinunce alle cure, e il quadro che emerge racconta due storie diverse. La prima è quella di un miglioramento complessivo. Tra il 2023 e il 2024, la percentuale di italiani over 65 che ha dovuto rinunciare a visite mediche o esami diagnostici necessari è passata dal 23% al 18%. Parliamo comunque di circa 2,6 milioni di persone, ma il trend è incoraggiante.
La seconda storia, però, è fatta di disuguaglianze che non accennano a ridursi. Per chi fatica ad arrivare a fine mese, la rinuncia alle cure raggiunge il 40%, un dato che resta sostanzialmente invariato rispetto al biennio precedente. Tra chi segnala “qualche difficoltà” economica, la quota sale al 25%, mentre per chi non ha problemi finanziari scende al 10%.
Il divario non è solo economico ma anche geografico. Al Nord la rinuncia alle cure tocca il 13%, al Centro il 18%, mentre al Sud e nelle Isole arriva al 23%. Quasi il doppio rispetto alle regioni settentrionali. Con una popolazione over 65 che rappresenta ormai il 24,7% del totale nazionale – circa 14,5 milioni di persone secondo i dati Istat aggiornati al 2024 – queste differenze non sono più sostenibili. Chi convive con due o più patologie croniche rinuncia nel 25% dei casi, contro il 19% di chi non ne ha. Chi soffre di problemi sensoriali, come deficit alla vista o all’udito, arriva al 27% contro il 20% di chi non li segnala. In pratica, più si è fragili e più si resta indietro.
Liste d’attesa e costi
Quando si chiede agli anziani perché hanno dovuto rinunciare a una prestazione sanitaria, la risposta più frequente riguarda le liste d’attesa. Circa due terzi degli intervistati le indicano come causa principale. Un problema che tocca tutto il paese.
>Secondo i dati del Ministero della Salute, nel 2023 l’attesa media per una visita specialistica nel servizio sanitario nazionale ha superato i quattro mesi, mentre per esami diagnostici come risonanza magnetica e TAC può arrivare anche a dodici mesi. Più della metà delle visite (52%) e oltre un terzo degli esami (36%) vanno oltre i tempi massimi previsti, con attese medie intorno ai 105 giorni. Anche il nuovo Piano nazionale liste d’attesa 2025-2027, elaborato dal Ministero e trasmesso alle regioni, punta a migliorare la situazione, ma i risultati concreti restano da vedere.
Dopo le liste d’attesa, il 17% degli anziani segnala difficoltà logistiche nell’accesso alle strutture. Arrivare in ospedale o in un centro diagnostico può trasformarsi in un’impresa per chi vive in zone isolate, per chi ha problemi di mobilità o semplicemente per chi non ha una rete familiare su cui contare. Ma il dato che colpisce di più è quello sui costi. Nel 2024, il 16% degli anziani che hanno rinunciato alle cure lo ha fatto perché non poteva permetterselo economicamente. Un dato raddoppiato rispetto all’8% del 2022. Nel 2023, secondo gli ultimi dati Istat, gli italiani hanno speso di tasca propria oltre 40,6 miliardi di euro per prestazioni sanitarie, con un aumento dell’1,7% rispetto al 2022. Si tratta di circa 1.480 euro medi per nucleo familiare. La spesa privata diretta delle famiglie, quella che gli esperti chiamano “out of pocket”, rappresenta ormai il 23% della spesa sanitaria totale del paese.
Il ricorso al privato è sempre più frequente. Il 59% degli intervistati da Passi d’Argento che non ha rinunciato alle cure ha utilizzato prestazioni private almeno qualche volta. Ma solo il 41% si è affidato esclusivamente al servizio pubblico. Chi può permetterselo bypassa le liste d’attesa pagando, chi non ha risorse economiche sufficienti finisce per rinunciare del tutto. Secondo la Fondazione Gimbe, nel 2023 quasi il 40% della spesa sanitaria privata delle famiglie è stata destinata a servizi e prestazioni inutili o inappropriate, un dato che fa riflettere sulla necessità di ripensare l’intero sistema.
Fragilità che si sommano e si moltiplicano
Il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Rocco Bellantone, ha sottolineato come la rinuncia alle cure non sia solo un problema di equità, ma anche di sostenibilità per l’intero sistema sanitario. Chi rinuncia oggi a una visita o a un controllo preventivo potrebbe trovarsi domani con complicanze molto più gravi e costose da gestire. Le malattie croniche come diabete, ipertensione e patologie cardiovascolari richiedono monitoraggio costante.
Trascurarle può portare a ricoveri d’urgenza, interventi complessi, degenze lunghe. Tutte situazioni che pesano molto di più sul bilancio del servizio sanitario rispetto a una semplice visita ambulatoriale. L’Organizzazione mondiale della sanità indica la rinuncia alle cure tra i maggiori rischi per la salute nella popolazione anziana europea, perché amplifica le disuguaglianze sociali e compromette il benessere dell’intera comunità.
Tra l’altro il fenomeno non è nuovo, esisteva già prima della pandemia, ma il Covid-19 ha agito come un acceleratore. La sospensione di molti servizi, le restrizioni, la paura del contagio hanno reso ancora più difficile l’accesso alle prestazioni sanitarie. Le recenti riduzioni nella quota di rinuncia sono un segnale positivo, ma il ritardo accumulato nelle aree più svantaggiate resta evidente.
Servizi di base: l’ultimo ostacolo per un anziano su tre
La questione non riguarda solo visite specialistiche o esami diagnostici. Il 32% degli anziani intervistati tra il 2023 e il 2024 ha segnalato difficoltà anche nell’accesso ai servizi di base: l’Asl, il medico di famiglia, i negozi di prima necessità. Queste difficoltà sono particolarmente marcate tra chi ha un basso livello di istruzione, chi vive in condizioni economiche precarie o chi risiede nelle regioni meridionali.
Passi d’Argento ha introdotto nel 2023 un modulo specifico dedicato alla spesa sanitaria diretta, e i risultati confermano che l’accesso alle cure passa sempre di più attraverso il portafoglio personale. Questo pesa soprattutto sulle famiglie, che spesso devono farsi carico non solo economicamente ma anche fisicamente della gestione dell’anziano. I caregiver familiari si trovano a colmare lacune che il sistema pubblico non riesce a coprire, con un carico emotivo e pratico che può diventare insostenibile.
La prevenzione, ricorda l’Istituto superiore di sanità, non è un lusso ma una necessità. Anche chi sta bene ha bisogno di controlli periodici, vaccinazioni, consulenze su stili di vita corretti. Negare o rendere difficile questo accesso significa preparare il terreno per problemi di salute futuri e costi sanitari più alti. Con un indice di vecchiaia salito al 199,8% – quasi 200 anziani ogni 100 giovani – e proiezioni che indicano come entro il 2049 gli over 65 rappresenteranno quasi il 35% della popolazione totale, il sistema sanitario italiano si trova di fronte a una sfida che non può più essere rimandata.
Servono risposte concrete
L’Istituto superiore di sanità indica come prioritari gli interventi che puntano a ridurre le liste d’attesa, a migliorare l’accessibilità dei servizi, a contenere i costi per le fasce più deboli.
Il decreto-legge 73 del 2024, convertito in legge a luglio, ha introdotto misure urgenti per la riduzione dei tempi delle liste d’attesa. E ha previsto la realizzazione di una Piattaforma nazionale delle liste d’attesa per monitorare in tempo reale la situazione. Ma tra le norme e la loro applicazione concreta il passo non è breve. La salute degli anziani non può dipendere dalla capacità economica delle famiglie o dalla fortuna di vivere in una regione piuttosto che in un’altra. È una questione di diritti, di equità, di civiltà.
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