La medicina promette risultati concreti, ma servirà un sistema sanitario ripensato per garantire diagnosi precoci e accesso equo
La ricerca sull’Alzheimer registra una svolta concreta. Farmaci come lecanemab e donanemab rallentano efficacemente la progressione della malattia, aprendo nuovi scenari per i 600mila pazienti italiani e l’oltre un milione di casi di demenza nel paese. Al congresso nazionale della Società Italiana di Neurologia a Padova (che si chiude oggi) gli specialisti hanno presentato l’Epa, Expert Panel on Alzheimer’s Disease, documento che farà da guida per l’introduzione delle terapie innovative nel Servizio Sanitario Nazionale. Frutto del lavoro di neurologi, geriatri, radiologi, esperti di medicina nucleare e biochimica clinica, definisce chi potrà accedere ai nuovi farmaci, come individuare i candidati ideali e come monitorarli.
Un linguaggio comune tra discipline diverse
Il documento nasce dalla collaborazione tra numerose società scientifiche, dalla medicina nucleare alla geriatria, dalla radiologia alla psicogeriatria. Ogni disciplina ha portato competenze specifiche per affrontare un percorso diagnostico-terapeutico complesso. Le nuove terapie non possono essere prescritte a chiunque né in qualsiasi fase. I farmaci anti-amiloide funzionano solo negli stadi iniziali, quando il paziente presenta decadimento cognitivo lieve o demenza precoce. Somministrarli troppo tardi significa sprecare risorse e sottoporre le persone a trattamenti inutili. Intervenire troppo presto comporta rischi ingiustificati.
Il nodo cruciale della diagnosi precoce
Un’indagine su 400 neurologi europei, di cui 100 italiani, rivela che l’83% degli specialisti ritiene fondamentale diagnosticare l’Alzheimer nelle fasi iniziali per offrire opzioni terapeutiche efficaci. Eppure oggi meno del 20% dei pazienti riceve una diagnosi accurata e tempestiva. Il principale ostacolo è lo stigma sociale: il 97% dei medici intervistati dichiara che pazienti e famiglie tendono a nascondere o minimizzare i sintomi durante le prime visite. Si aggiunge la difficoltà di accedere agli strumenti diagnostici avanzati. Fino a oggi confermare la presenza di Alzheimer richiedeva esami invasivi come la puntura lombare per analizzare i biomarcatori liquorali, oppure costose indagini Pet. Il documento Epa propone una soluzione più accessibile: i biomarcatori plasmatici, prelievi del sangue che identificano i segni della malattia con buona affidabilità. In collaborazione con la Società italiana di biochimica clinica sono in corso la validazione dei parametri e la definizione dei valori di riferimento per standardizzare questi test su tutto il territorio nazionale.
Imaging e selezione accurata dei candidati
Radiologia e medicina nucleare giocano un ruolo determinante. Il documento stabilisce quali risonanze magnetiche e indagini Pet utilizzare per identificare i pazienti idonei e ridurre il rischio di effetti collaterali. I farmaci anti-amiloide possono causare emorragie cerebrali microscopiche o edemi, complicazioni che richiedono monitoraggio attento attraverso neuroimaging periodico. Non tutti i pazienti con diagnosi di Alzheimer sono candidati ideali. La collaborazione con la Società italiana di geriatria ha permesso di definire criteri per riconoscere persone fragili o con comorbilità complesse che potrebbero non tollerare questi trattamenti. Età avanzata, patologie croniche e fragilità fisica vanno valutati attentamente prima di avviare terapie che richiedono infusioni endovenose regolari e controlli ravvicinati.
Equità di accesso e rafforzamento della rete territoriale
Le marcate differenze regionali nella disponibilità di servizi specialistici rischiano di limitare l’accesso alle nuove terapie solo ad alcune aree del paese. Per questo il documento Epa punta sul rafforzamento dei Centri per i disturbi cognitivi e le demenze, strutture che assumeranno un ruolo centrale nella selezione e nel monitoraggio dei pazienti. Questi centri rappresentano il punto di riferimento per un percorso di cura integrato che coinvolge infermieri specializzati, psicologi, neuropsicologi e operatori sociosanitari. Come emerso nel dibattito, serve tempo per costruire un sistema sanitario pronto, efficiente e uniforme, ma l’obiettivo è garantire che ogni paziente italiano possa accedere alle nuove terapie indipendentemente dalla regione di residenza.
Un cambiamento che va oltre i farmaci
L’arrivo dei nuovi farmaci per l’Alzheimer richiede un adeguamento strutturale e culturale del sistema sanitario. Significa investire in formazione, potenziare le reti territoriali, modernizzare le apparecchiature diagnostiche, standardizzare i protocolli. Le società scientifiche stanno elaborando documenti attuativi che definiranno nel dettaglio i percorsi diagnostici e terapeutici, dai dosaggi dei biomarcatori plasmatici alle procedure di imaging. La sanità italiana è all’inizio di una nuova era nella gestione dell’Alzheimer, che avrà successo solo se accompagnata da un impegno concreto nel riorganizzare il sistema di cura. Intercettare precocemente chi può beneficiare delle terapie innovative significa cambiare il destino di centinaia di migliaia di persone e delle loro famiglie, alleggerendo il peso assistenziale che grava su circa tre milioni di caregiver italiani.
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