Gli anziani restano esclusi dalle sperimentazioni cliniche: un paradosso che mina la sicurezza stessa delle terapie
Di ageismo farmaceutico si è tornati a parlare ieri in Spagna in occasione della Giornata internazionale della sperimentazione clinica. Le principali organizzazioni di geriatri spagnoli hanno sollevato un tema importante ma troppo spesso sottovalutato o addirittura sconosciuto. Il fatto, cioè, che farmaci destinati principalmente agli over 75 vengano testati su adulti giovani e sani. Un fenomeno che ha come effetto la sistematica esclusione degli anziani dagli studi clinici, con pesanti conseguenze sulla sicurezza e l’efficacia dei trattamenti.
L’età che resta fuori dai test
Secondo José Augusto García Navarro, presidente della Società Spagnola di Geriatria e Gerontologia, «le persone anziane sono largamente sottorappresentate negli studi clinici, in particolare quelle con più di 70 anni e soprattutto quelle con più di 80». Quando vengono incluse, si tratta spesso di individui sani, con una sola patologia, che non rispecchiano la complessità clinica della popolazione geriatrica, dove la multimorbilità è la norma. Il risultato? Farmaci progettati e testati su uomini di 40 anni finiscono per essere somministrati a donne di 80. Un’assurdità scientifica, denunciata anche da Leocadio Rodríguez Mañas, direttore del Centro per la fragilità e l’invecchiamento sano di Madrid: «È impossibile somministrare terapie adeguate a chi non è stato minimamente considerato nei test». È questa la sintesi drammatica dell’ageismo farmaceutico.
Dai farmaci antidiabete all’oncologia: un problema diffuso
Il problema non riguarda solo farmaci di nicchia. Anche trattamenti molto diffusi, come le iniezioni per il diabete Ozempic o Wegovy, vengono somministrati agli anziani senza che esistano dati clinici robusti per questa fascia d’età. La questione tocca anche terapie oncologiche e per il colesterolo, settori dove l’assenza di test su over 75 rende l’efficacia dei trattamenti un vero e proprio salto nel buio. Uno studio recente condotto dal Barcelonaβeta Brain Research Center ha evidenziato forti squilibri anche nei test per la prevenzione dell’Alzheimer, patologia che colpisce in maggioranza donne anziane. Le barriere di genere e di età continuano a impedire una effettiva rappresentatività nei campioni clinici.
Costi, tempi e pregiudizi: le cause dell’esclusione
Ma perché gli anziani non vengono inclusi? Una delle principali ragioni, secondo gli esperti, è la ricerca di “dati puri” da parte dell’industria farmaceutica: soggetti sani, senza patologie concomitanti. A questo si aggiunge il fattore economico. Gli anziani richiedono tempi più lunghi, protocolli adattati, équipe multidisciplinari e costi maggiori. Tutti elementi che spingono le aziende a evitarli. Cristina Alonso, geriatra ed ex presidente della Società spagnola di medicina geriatrica, sottolinea: «È una scelta miope e ingiusta. Coinvolgere gli anziani è più impegnativo, ma è l’unica strada per avere farmaci sicuri ed efficaci per tutti». Da più parti si chiede l’intervento delle agenzie regolatorie, come l’Agenzia europea per i medicinali, affinché l’inclusione degli anziani diventi obbligatoria, salvo giustificazioni mediche documentate.
Il progetto europeo READI contro le discriminazioni
Un’iniziativa che punta a correggere queste diseguaglianze è il progetto europeo READI (Research in Europe and Inclusion of Diversity). Composto da 73 organizzazioni in 18 Paesi e coordinato dalla Spagna, READI ha l’obiettivo di promuovere una sperimentazione più equa e rappresentativa. Alberto Borobia, che guida il progetto, afferma: «Non possiamo sviluppare farmaci per popolazioni che non vengono incluse nei test. È una questione di efficacia, ma anche di giustizia sociale». Con un budget di quasi 67 milioni di euro e una durata di sei anni, READI si propone di abbattere le barriere culturali e procedurali che impediscono agli anziani – e ad altri gruppi vulnerabili – di partecipare alla ricerca clinica. Un passo fondamentale per contrastare l’ageismo farmaceutico.
Intelligenza artificiale e digitalizzazione: le nuove frontiere
Un ulteriore elemento che potrebbe favorire l’inclusione è la digitalizzazione degli studi clinici. L’Agenzia spagnola per i medicinali sta sperimentando l’uso dell’intelligenza artificiale per rendere più ricco e rappresentativo il reclutamento dei pazienti. La tecnologia, spiegano, permette di analizzare un maggior numero di dati e considerare anche determinanti sociali come il reddito, lo stato occupazionale o le condizioni familiari. Un approccio più inclusivo alla ricerca, affermano i promotori, deve prevedere che le preferenze dei pazienti influenzino il disegno degli studi. Una rivoluzione ancora in fase iniziale, ma necessaria per superare definitivamente l’ageismo farmaceutico.
La replica dell’industria farmaceutica
Farmaindustria, associazione leader delle aziende del settore, riconosce il problema cercando di risolverlo. Tra le strategie adottate, l’uso di tecnologie digitali e Big Data, e l’elaborazione di linee guida per sperimentazioni decentralizzate. Tuttavia, precisa che l’inclusione dipende dai criteri stabiliti nei protocolli e dalle decisioni dei ricercatori principali. Dal canto suo, la Società Spagnola di Oncologia Medica ricorda che lo studio clinico resta un investimento oneroso, con ricadute economiche importanti. Per questo, le aziende puntano su campioni più semplici e facilmente controllabili. Una strategia che penalizza proprio chi avrebbe più bisogno di cure mirate e sicure: gli anziani. Il cambiamento, dunque, dovrà partire non solo dalle normative, ma anche da una presa di coscienza collettiva. La medicina del futuro non può infatti ignorare chi rappresenta una fetta crescente della popolazione mondiale.
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