È morto a 82 anni l’ex pilota di Formula 1 che ha corso con Ferrari e McLaren. Per decenni ha raccontato le gare con uno stile unico, diventando la voce italiana del Circus e formando generazioni di appassionati davanti alla televisione.
Un pilota vero, cresciuto tra polvere e velocità
Il mondo dei motori ha perso uno dei suoi protagonisti più autentici. Andrea De Adamich si è spento all’età di 82 anni, lasciando un vuoto difficile da colmare in chi ha vissuto la Formula 1 attraverso le sue telecronache. Non è stata solo la scomparsa di un ex pilota, ma di qualcuno che ha saputo trasformare il racconto delle corse in qualcosa di più profondo, costruendo un ponte tra la pista e il salotto di casa.
Nato nel 1941, De Adamich aveva nel sangue la passione per i motori. La sua carriera al volante non è stata delle più lunghe, ma abbastanza intensa da lasciare il segno. Ha disputato 30 Gran Premi di Formula 1 tra il 1968 e il 1973, correndo per scuderie che portavano nomi importanti come Ferrari, McLaren e Surtees. Il momento più alto lo raggiunse proprio con la squadra di Enzo Ferrari nel 1968, quando il Drake in persona lo volle a Modena per affidargli una monoposto rossa. Non vinse mai una gara, è vero, ma chi lo vide gareggiare ricorda un pilota tenace, tecnicamente preparato, capace di spremere anche vetture non sempre competitive.
La carriera in pista subì una brusca frenata nel 1973, dopo un grave incidente durante la 1000 km di Brands Hatch. Stava correndo su un’Alfa Romeo quando un’altra vettura lo colpì, causandogli ferite serie alle gambe. Fu un momento che avrebbe potuto spezzare chiunque, invece De Adamich ne uscì con una consapevolezza diversa. Lasciò le corse da pilota ma non abbandonò il paddock. Quello che molti non avrebbero saputo fare, lui lo fece con naturalezza: cambiò prospettiva e si mise dall’altra parte, quella di chi racconta invece di correre.
La seconda vita davanti alle telecamere
Quando negli anni Ottanta la televisione italiana iniziò a dare sempre più spazio alla Formula 1, De Adamich divenne il volto e soprattutto la voce di quel mondo in rapida trasformazione. Le sue telecronache su Mediaset accompagnarono milioni di italiani ogni domenica, trasformando la visione di un Gran Premio in un’esperienza diversa. Non urlava, non cercava l’effetto facile. Spiegava. Con competenza tecnica ma senza mai perdere l’accessibilità, riusciva a far capire anche a chi non masticava meccanica cosa stesse succedendo in pista.
Il suo linguaggio è diventato un modello. Coniava termini, usava espressioni che entravano nel gergo comune degli appassionati, creava un lessico condiviso che rendeva le gare comprensibili a tutti. Chi lo ascoltava imparava senza accorgersene, perché De Adamich aveva il dono di rendere semplice ciò che è complesso. La sua partnership televisiva più celebre fu quella con Guido Meda, un tandem che ha attraversato anni e generazioni, raccontando l’era Schumacher e quella successiva con la stessa passione.
Ha seguito l’evoluzione tecnologica delle monoposto con lo stesso entusiasmo di quando le guidava, spiegando telemetria, aerodinamica, strategie di gara. Ma non perdeva mai di vista l’elemento umano: i piloti, le loro storie, le rivalità, i momenti di gloria e quelli di crisi. Per lui la Formula 1 era prima di tutto una questione di persone, non solo di macchine.
L’impegno per la sicurezza stradale
C’era un altro lato di De Adamich che merita di essere ricordato, forse meno spettacolare ma altrettanto importante. Dopo l’incidente che gli aveva cambiato la vita, aveva sviluppato una sensibilità particolare verso il tema della sicurezza. Non si limitò a parlarne: si impegnò concretamente nella promozione della guida responsabile, convinto che la cultura della sicurezza stradale dovesse partire dall’educazione e dalla consapevolezza. Partecipò a campagne, parlò nelle scuole, mise la sua esperienza al servizio di chi voleva imparare a guidare meglio.
In un’epoca in cui le corse erano ancora molto più pericolose di oggi, lui aveva visto da vicino cosa significasse andare oltre il limite. E questa esperienza la trasformò in un messaggio rivolto a tutti, non solo ai piloti professionisti. La velocità va gestita con intelligenza, ripeteva, e il rispetto delle regole non è un freno alla passione ma la sua premessa necessaria.
Una voce che mancherà
De Adamich ha smesso di commentare le gare da qualche anno, ma la sua presenza nel mondo dei motori non è mai venuta meno. Continuava a seguire le corse, a dire la sua quando interpellato, a mantenere vivo quel filo che lo legava alla Formula 1. Chi lo incontrava trovava sempre la stessa persona: diretta, appassionata, con quella capacità rara di ascoltare e trasmettere esperienza senza mai essere didascalico.
La notizia della sua morte ha fatto il giro del paddock in poche ore, suscitando reazioni da ogni angolo del motorsport. Non solo in Italia. De Adamich era conosciuto e stimato anche all’estero, dove il suo lavoro aveva oltrepassato i confini della lingua. Era diventato un punto di riferimento, uno di quelli che quando parlano tutti stanno ad ascoltare, perché dietro le parole c’è una vita vissuta tra curve e rettilinei.
Restano le sue telecronache, conservate negli archivi televisivi e nella memoria di chi le ha ascoltate. Restano le sue analisi tecniche, sempre precise ma mai sterili. Resta soprattutto il suo modo di vedere le corse: come un racconto fatto di uomini e macchine, di sogni e cadute, di quella bellezza imperfetta che è lo sport quando viene vissuto fino in fondo.
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