L’attore e campione ungherese naturalizzato britannico si è spento a 75 anni a Brisbane. Una carriera straordinaria tra ring e set cinematografici, dalle sfide contro i più grandi boxer dell’epoca fino ai ruoli cult nei film di Bud Spencer e Terence Hill.
Un addio che commuove due mondi
Joe Bugner si è spento il 1° settembre 2025 a Brisbane, in Australia, all’età di 75 anni. La notizia della morte dell’ex pugile e attore è stata confermata dal British Boxing Board of Control, segnando la fine di una delle carriere più eclettiche e trasversali del panorama sportivo e cinematografico del secolo scorso.
Nato József Kreul Bugner il 13 marzo 1950 a Szőreg, in Ungheria, la sua esistenza fu segnata fin dall’infanzia dal drammatico esodo dalla patria natale nel 1956. La famiglia, infatti, fu costretta a emigrare nel Regno Unito in seguito alla rivolta ungherese contro il regime sovietico. Ma quel bambino rifugiato sarebbe diventato uno degli atleti più rispettati d’Europa e, paradossalmente, uno dei “cattivi” più amati del cinema popolare italiano.
La scomparsa di Bugner lascia un vuoto profondo in due universi apparentemente lontani ma che seppe unire con naturalezza sorprendente. Da una parte il mondo della boxe internazionale, dove conquistò rispetto e ammirazione affrontando leggende come Muhammad Ali e Joe Frazier. Dall’altra il cinema di genere degli Anni ’80, dove interpretò antagonisti memorabili che il pubblico imparò ad amare proprio per la loro umanità nascosta dietro la brutalità apparente.
Il gigante del ring che non si arrendeva mai
La carriera pugilistica di Joe Bugner non può che essere considerata un capitolo affascinante della storia della boxe europea. La sua figura ha attraversato decenni di storia della boxe europea e mondiale, e ha segnato un’epoca per la tenacia e la solidità agonistica. Con i suoi 196 centimetri di altezza e un fisico imponente, Bugner non era solo una presenza intimidatoria, ma un pugile tecnicamente raffinato che seppe evolversi costantemente nel corso di una carriera lunghissima.
Il suo record parla di 83 incontri disputati nell’arco di oltre tre decenni, con vittorie importanti che gli valsero i titoli di campione britannico, europeo e del Commonwealth dei pesi massimi. Ma sono stati soprattutto gli scontri con i miti della boxe a renderlo leggendario. Nel 1973 affrontò sia Muhammad Ali che Joe Frazier a distanza di pochi mesi, perdendo entrambi gli incontri per decisione dei giudici ma guadagnandosi il rispetto di avversari e addetti ai lavori per la sua resistenza e il coraggio dimostrato. Tornò poi a sfidare Ali nel 1975 per il titolo mondiale, confermando di non temere nessuno sul ring.
La sua longevità agonistica fu straordinaria. Dopo diversi ritiri e ripensamenti, riuscì a conquistare il titolo australiano dei pesi massimi nel 1995 e, all’incredibile età di 48 anni, la cintura della World Boxing Federation nel 1998, prima di appendere definitivamente i guantoni al chiodo nel 1999. Una carriera che testimonia una dedizione totale allo sport e una forza di volontà fuori dal comune, qualità che avrebbe poi trasferito con successo anche nel mondo del cinema.
Il cattivo “simpatico” del cinema popolare italiano
Quando Joe Bugner decise di cimentarsi nella recitazione, portò con sé tutto il carisma e la presenza scenica sviluppata sui ring di mezzo mondo. Il suo fisico imponente e il volto severo ma espressivo lo resero l’antagonista perfetto per il cinema popolare degli Anni ’80, in particolare per i film di Bud Spencer e Terence Hill che stavano dominando i botteghini italiani e internazionali.
Il ruolo più memorabile fu quello di Jack “Hammer” Ormond in “Io sto con gli ippopotami” del 1979, film girato interamente in Sudafrica che ebbe un grande successo al botteghino, incassando più di 7 miliardi di vecchie lire. Nella pellicola, Bugner interpretava un spietato trafficante di animali ed avorio, creando un personaggio che pur nella sua cattiveria manteneva una certa eleganza e persino momenti di involontaria simpatia. La sua recitazione, pur non essendo quella di un attore professionista, possedeva un’autenticità e una presenza fisica che funzionavano perfettamente nel contesto dei film d’avventura (e spensierati) del duo Spencer-Hill.
La collaborazione proseguì con “Lo chiamavano Bulldozer” (1978), dove interpretò Orso, un avversario altrettanto memorabile di Bud Spencer, e successivamente in “Uno sceriffo extraterrestre… poco extra e molto terrestre” (1979) e “Occhio alla penna” (1981). In ogni film, Bugner riuscì a creare personaggi che il pubblico “amava odiare”, cattivi che non erano mai completamente malvagi ma conservavano sempre un’umanità che li rendeva credibili. E, in qualche modo, simpatici.
L’eredità di un uomo trasversale
La particolarità di Joe Bugner stava nella sua capacità di essere autentico in contesti completamente diversi. Sul ring era il guerriero che non si arrendeva mai, capace di reggere i colpi dei più grandi campioni della storia. Sul set cinematografico diventava il perfetto antagonista, minaccioso ma mai volgare. Cattivo. ma mai privo di dignità. Questa dualità lo rese una figura unica nel panorama dello spettacolo internazionale.
Negli ultimi anni della sua carriera cinematografica, Bugner riuscì anche a lavorare in produzioni più ambiziose, come “Street Fighter – Sfida finale” del 1994 e soprattutto “Cinderella Man – Una ragione per lottare” (2005) di Ron Howard con Russell Crowe, dimostrando che la sua presenza scenica poteva funzionare anche in contesti drammatici più impegnativi. Ruoli che hanno testimoniato la sua crescita come interprete e la considerazione che aveva guadagnato nell’ambiente cinematografico internazionale.
La scomparsa di Bugner chiude definitivamente un’epoca, quella in cui era ancora possibile passare dal mondo dello sport a quello del cinema mantenendo la propria autenticità. Un tempo in cui forza e determinazione potevano aprire porte inaspettate, trasformando un rifugiato ungherese in una leggenda dello sport britannico e in un volto amato del cinema popolare italiano.
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