Scompare a 81 anni il fondatore e anima creativa della band che ha ridefinito il suono della California. Dal surf rock a capolavori come “Pet Sounds”, quella di Brian Wilson è la storia di un’innovazione geniale e di una profonda fragilità umana. Che ha cambiato per sempre la storia della musica.
Un lutto che colpisce tutta la musica
Il mondo della musica è in lutto. Si è spento all’età di 81 anni Brian Wilson, la mente visionaria, il compositore e l’anima dei Beach Boys.
Con lui non scompare solo un’icona del pop, ma uno dei più grandi architetti sonori del Ventesimo secolo. Un uomo che ha preso le soleggiate melodie della California e le ha trasformate in complesse sinfonie tascabili, insegnando al mondo che una canzone di tre minuti poteva contenere la stessa profondità emotiva di un’opera classica.
Le origini del mito: i Beach Boys e il sogno californiano
Tutto comincia a Hawthorne, California, all’inizio degli anni Sessanta. La band è un affare di famiglia: i fratelli Brian, Dennis e Carl Wilson, il cugino Mike Love e l’amico Al Jardine.
Insieme creano una formula sonora che diventa la colonna sonora di un’intera generazione. Le loro canzoni parlano di surf, ragazze, auto veloci e un’estate che sembra non finire mai. Brani come “Surfin’ U.S.A.”, “I Get Around” e “Fun, Fun, Fun” definiscono il surf rock e proiettano i Beach Boys nell’olimpo delle classifiche mondiali.
Dietro quell’immagine spensierata, però, c’è già la mano di un musicista inquieto e incredibilmente dotato: Brian Wilson. È lui a scrivere le musiche, a curare gli arrangiamenti e a produrre i dischi. Mostrando fin da subito un talento prodigioso per le armonie vocali e le strutture melodiche.
La svolta epocale di Brian Wilson
La vera rivoluzione arriva a metà del decennio. Stressato dai tour continui e desideroso di esplorare nuovi orizzonti musicali, Brian Wilson prende una decisione drastica. Smette di esibirsi dal vivo per dedicarsi esclusivamente al lavoro in studio.
Liberato dalle costrizioni della strada, trasforma la sala di registrazione nel suo personale laboratorio. Influenzato dal “Wall of Sound” di Phil Spector, Wilson inizia a sperimentare in modi mai sentiti prima. Sovrappone decine di tracce, utilizza strumenti non convenzionali come campanelli di bicicletta, theremin e clavicembali, e tratta i musicisti della leggendaria Wrecking Crew come un’orchestra al suo servizio.
Lo studio non è più un luogo dove semplicemente registrare una canzone, ma diventa esso stesso uno strumento, un’estensione della sua immaginazione.
“Pet Sounds”, la sinfonia che ha cambiato la musica
Il culmine di questa febbrile attività creativa arriva nel 1966 con l’album Pet Sounds. È un’opera che segna un punto di non ritorno nella storia del pop.
Abbandonate le spiagge e le tavole da surf, i testi si fanno introspettivi, malinconici, universali. Brani come “God Only Knows”, “Wouldn’t It Be Nice” e “Caroline, No” sono capolavori di arrangiamento e sensibilità. Wilson stesso descrisse il suo lavoro come una “sinfonia adolescenziale per Dio”, un tentativo di catturare i sentimenti complessi della gioventù con una tavolozza sonora senza precedenti. L’impatto fu devastante.
Si narra che Paul McCartney, dopo aver ascoltato Pet Sounds, lo considerò l’album più grande di sempre, trovando in esso l’ispirazione diretta per creare Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band.
L’incompiuta di “Smile” e l’inizio della discesa
Sull’onda di Pet Sounds, Brian Wilson si lancia nel suo progetto più ambizioso: Smile. Doveva essere il capolavoro definitivo, un’opera frammentaria e psichedelica che avrebbe superato ogni confine. Ma la pressione diventa insostenibile. Le tensioni interne alla band, in particolare con Mike Love, che non comprende la nuova direzione sperimentale, si sommano alla fragilità psicologica di Wilson, aggravata dall’uso di sostanze stupefacenti.
Smile diventa un progetto leggendario e maledetto, un’incompiuta che viene abbandonata, mandando in frantumi il suo autore. Quell’insuccesso segna l’inizio di un lungo e doloroso esilio dalla scena pubblica.
L’esilio e la rinascita di Brian Wilson
Per quasi due decenni, Brian Wilson combatte con i suoi demoni. La sua storia è segnata da gravi problemi di salute mentale, depressione e periodi di totale isolamento, durante i quali la sua figura è stata avvolta nel mito e nella preoccupazione. Un percorso difficile, segnato anche da figure controverse che hanno cercato di controllarne la vita e la carriera.
Tuttavia, la sua musica non ha mai smesso di influenzare generazioni di artisti. Lentamente, a partire dagli anni Novanta, Wilson riemerge. Torna a esibirsi dal vivo e, nel 2004, compie un piccolo miracolo: completa e pubblica finalmente Smile, chiudendo un cerchio aperto quasi quarant’anni prima e dimostrando che il suo genio, seppure ferito, era ancora intatto.
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