Dopo 15 mesi di guerra, il gabinetto Netanyahu approva la prima fase del piano di pace promosso da Trump. Previsto il rilascio degli ostaggi, il ritiro graduale delle truppe e l’ingresso massiccio di aiuti umanitari nella Striscia.
Cosa succede adesso a Gaza
Il governo israeliano ha ratificato l’accordo con Hamas che pone fine, almeno temporaneamente, al conflitto nella Striscia di Gaza. Il cessate il fuoco è entrato in vigore dopo che il gabinetto di sicurezza ha concluso una riunione fiume durata diverse ore, seguita dal voto dell’intero esecutivo.
L’annuncio era arrivato nella notte tra mercoledì e giovedì, quando il presidente americano Donald Trump aveva confermato che entrambe le parti avevano firmato la prima fase del piano di pace negoziato a Sharm el Sheikh.
Il documento prevede misure concrete e immediate. Il rilascio degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas, la liberazione di detenuti palestinesi, il ritiro programmato delle forze militari israeliane e l’apertura di corridoi umanitari per far entrare aiuti nella Striscia devastata da oltre un anno di bombardamenti.
Le prime 72 ore: ostaggi e prigionieri
La fase più delicata dell’accordo si gioca nelle prime 72 ore dalla ratifica. Hamas si è impegnato a rilasciare circa 20 ostaggi israeliani ancora in vita, mentre per la restituzione dei corpi degli altri 28 ostaggi deceduti il movimento ha chiesto 10 giorni di tempo.
In cambio, Israele libererà 1.950 prigionieri palestinesi: 250 condannati all’ergastolo e oltre 1.700 cittadini di Gaza arrestati dopo il 7 ottobre 2023, tra cui donne e bambini. Il nome più atteso nelle liste dello scambio era quello di Marwan Barghouti, figura di spicco del movimento palestinese, ma le autorità israeliane hanno già escluso il suo rilascio. Per ogni corpo di ostaggio israeliano restituito, Israele consegnerà i resti di 15 cittadini di Gaza deceduti. Trump ha parlato di una liberazione che dovrebbe avvenire tra lunedì e martedì, anche se i tempi restano legati al completamento delle procedure burocratiche e logistiche.
Il ritiro delle truppe e il controllo del territorio
L’aspetto più complesso riguarda il ritiro delle forze israeliane dalla Striscia.
Secondo quanto emerso dalle prime notizie, l’esercito israeliano ha già iniziato a riposizionare alcune unità sotto la copertura di bombardamenti di artiglieria e attacchi aerei. Il piano prevede un ritiro graduale legato a standard e tempistiche concordate con i mediatori internazionali. Israele manterrà il controllo di alcune posizioni strategiche lungo le linee di schieramento, mentre abbandonerà progressivamente le zone urbane occupate durante i combattimenti. L’eccezione è rappresentata da Rafah, al confine con l’Egitto, considerato da Tel Aviv un punto critico per il contrabbando di armi verso Hamas.
Le fasi successive dovrebbero portare a un ulteriore arretramento, fino a mantenere solo una zona cuscinetto lungo il confine della Striscia. Il documento stabilisce che le forze di difesa israeliane cederanno progressivamente il territorio a una Forza internazionale di stabilizzazione, che gli Stati Uniti stanno organizzando insieme ai partner arabi.
Gli aiuti umanitari e la ricostruzione
Uno dei nodi centrali dell’intesa riguarda l’assistenza alla popolazione civile. Secondo quanto stabilito, 400 camion carichi di aiuti entreranno quotidianamente a Gaza già dalla prima fase. Si tratta di quantità superiori rispetto agli standard precedenti e comprendono acqua, cibo, medicinali, ma anche attrezzature per il ripristino delle infrastrutture essenziali: elettricità, sistemi idrici, fognature.
L’accordo prevede inoltre la ristrutturazione degli ospedali, la riapertura delle panetterie e l’ingresso dei mezzi necessari per rimuovere le macerie che hanno ridotto intere città a cumuli di detriti. La distribuzione sarà gestita dalle Nazioni Unite e dalle sue agenzie, dalla Mezzaluna Rossa. Oltre che da altre organizzazioni internazionali, senza interferenze da parte delle due fazioni in conflitto. Il valico di Rafah riaprirà in entrambe le direzioni seguendo lo stesso meccanismo già implementato nell’accordo del gennaio scorso.
Il “piano Trump”: 20 punti per una nuova Gaza
Il documento completo presentato dall’amministrazione americana conta 20 punti che delineano non solo il cessate il fuoco immediato, ma un progetto a lungo termine per trasformare Gaza.
Il testo stabilisce che la Striscia dovrà diventare una zona demilitarizzata, libera dal terrorismo e senza minacce per i paesi confinanti. Hamas si è impegnato a non avere alcun ruolo nella governance futura, né diretto né indiretto, e ha accettato il principio della deposizione delle armi. Tutti i tunnel e le infrastrutture militari dovranno essere distrutti sotto la supervisione di osservatori internazionali. L’amministrazione transitoria sarà gestita da un comitato palestinese tecnocratico e apolitico, composto da esperti qualificati, affiancato da un organismo internazionale chiamato Board of Peace. Quest’ultimo sarà presieduto da Trump stesso e includerà tra i membri l’ex premier britannico Tony Blair. Il piano prevede anche l’istituzione di una zona economica speciale con tariffe preferenziali, l’arrivo di investimenti internazionali e un programma di sviluppo economico che dovrebbe creare posti di lavoro e opportunità per i residenti di Gaza.
L’accordo mantiene ferma la possibilità per i membri di Hamas che accettano la coesistenza pacifica di ottenere l’amnistia, mentre a chi vorrà lasciare Gaza sarà garantito un passaggio sicuro verso altri Paesi. Nessun civile sarà costretto a lasciare il territorio, ma chi lo desidera potrà farlo liberamente e tornare. Israele ha esplicitamente dichiarato che non occuperà né annetterà la Striscia, ma manterrà una presenza di sicurezza perimetrale finché Gaza non sarà considerata libera da minacce terroristiche.
Il ritiro completo dipenderà dal rispetto delle tappe della smilitarizzazione e dall’effettivo controllo esercitato dalle forze internazionali sul territorio. Qatar e Turchia avranno un ruolo di garanti nel processo politico, mentre Egitto e Giordania collaboreranno per l’addestramento delle nuove forze di polizia palestinesi.
Reazioni e prospettive concrete
Nelle strade di Gaza e Tel Aviv la notizia dell’accordo ha provocato scene di gioia, con festeggiamenti spontanei e speranze per la fine delle ostilità. Le cancellerie internazionali hanno accolto l’intesa con favore, riconoscendo il lavoro dei mediatori di Qatar, Egitto e Turchia.
Resta da vedere come evolverà la situazione nelle prossime settimane, soprattutto rispetto al rispetto degli impegni presi da entrambe le parti. Hamas ha dichiarato di aver ricevuto garanzie dai mediatori e dagli Stati Uniti che la guerra è definitivamente conclusa. Tuttavia, il governo israeliano non ha fornito conferme in tal senso.
L’accordo apre una finestra diplomatica che potrebbe portare, secondo il documento, alla ripresa del controllo di Gaza da parte dell’Autorità nazionale palestinese, ma solo dopo un lungo processo di riforme e di normalizzazione. Il testo menziona anche l’avvio di un dialogo interreligioso basato sulla tolleranza e sulla coesistenza pacifica, con l’obiettivo di modificare le narrazioni che alimentano il conflitto. Se tutte le condizioni saranno rispettate, si potrebbero creare le basi per un percorso verso l’autodeterminazione palestinese, riconosciuta come aspirazione legittima del popolo palestinese. Gli Stati Uniti hanno annunciato l’invio di 200 soldati nella regione per supportare le operazioni di stabilizzazione.
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