Inaugurato il primo museo delle disuguaglianze di genere. Action Aid: il 74% delle donne si occupa da sola dei lavori domestici e il 52% ha paura negli spazi pubblici
Un museo dove le buste paga di colori diversi per uomini e donne sono esposte come reperti archeologici. Dove gli specchi riflettono frasi sessiste, ormai considerate assurde. Dove le porte segnate dai pugni della violenza domestica testimoniano un’epoca passata. Questo lo scenario del Mupa, il Museo del Patriarcato inaugurato a Roma da ActionAid, che proietta i visitatori in un futuro auspicabile. Quello del 2148, quando finalmente sarà raggiunta la parità tra i sessi. La finalità è combattere il patriarcato in modo innovativo. Trasformando in “reliquie del passato” quegli stereotipi, credenze e comportamenti che oggi alimentano le disuguaglianze di genere nella società italiana.
Un percorso immersivo tra passato e futuro
Il percorso espositivo costruisce una narrazione capovolta: gli oggetti e le situazioni che caratterizzano la vita quotidiana contemporanea vengono presentati come testimonianze di un’epoca conclusa. I visitatori sono accompagnati in un viaggio che interroga profondamente sulle radici culturali della discriminazione. Come spiega Katia Scannavini, co-segretaria generale di ActionAid: “Non si può prevenire la violenza senza promuovere uguaglianza, e non si può costruire uguaglianza senza mettere in discussione le radici culturali del patriarcato”. La scelta temporale del 2148 non è casuale. Secondo l’ultimo Global Gender Gap Report, al ritmo attuale dei progressi compiuti, serviranno ancora oltre cent’anni per raggiungere la piena parità tra uomini e donne nel mondo. Una prospettiva che fa riflettere sull’urgenza di accelerare il cambiamento culturale, attraverso l’educazione, il linguaggio, le politiche pubbliche e i comportamenti individuali.
I dati che fotografano l’Italia di oggi
Il museo nasce dalla consapevolezza che il patriarcato appartiene ancora al presente. Come conferma la ricerca “Perché non accada”, realizzata da ActionAid con l’Osservatorio di Pavia, che fotografa quanto stereotipi e disuguaglianze di genere restino profondamente radicati nella società italiana. Un uomo su tre considera accettabile la violenza economica, mentre uno su quattro giustifica quella verbale o psicologica. Ancora più allarmante: quasi due uomini su dieci ritengono ammissibile anche la violenza fisica. Dalla generazione dei Boomer, che tende a negare o minimizzare il fenomeno, ai giovani che pur riconoscendolo spesso lo legittimano, emerge un file rouge culturale che lega padri e figli.
Il peso della cura familiare, dai figli agli anziani
La ricerca rivela un divario di genere schiacciante nel carico di lavoro di cura non retribuito, che ricade principalmente sulle donne. Il 74% delle donne si occupa da sola dei lavori domestici, una cifra che sale all’80% tra le Boomers, a fronte di una percentuale maschile che si attesta solo al 40%. Anche nella genitorialità il carico è fortemente sbilanciato: il 41% delle madri si occupa da sola dei figli, contro appena il 10% dei padri. Questo squilibrio prosegue nella cura degli anziani, dove il 37% delle donne se ne fa carico in solitaria, con un picco del 40% tra le Boomers. Il modello di cura è quasi interamente familiare, con un ricorso a figure retribuite di appena il 2%. Anche la gestione delle finanze domestiche vede un dominio maschile, con il 51% degli uomini che gestisce le finanze da solo contro il 38% delle donne.
La paura abita gli spazi pubblici
Le disuguaglianze di genere non si fermano alle mura domestiche ma pervadono la vita pubblica. L’esperienza della paura è profondamente segnata dal genere: il 52% delle donne dichiara di aver provato paura negli spazi pubblici, una percentuale che sale al 79% tra le più giovani. Il 38% del campione ha avuto paura sui mezzi pubblici, ma il divario è forte: il 32% delle donne contro il 19% degli uomini Questa insicurezza viene alimentata da una cultura paternalistica ancora diffusa. Un quarto della popolazione ritiene, infatti, che una donna sia al sicuro solo se accompagnata. Pe la stragrande maggioranza degli intervistati gli spazi pubblici per le donne sono sicuri solo di giorno o in compagnia.
L’indifferenza come complice silenziosa
Un aspetto preoccupante emerso dalla ricerca riguarda l’inazione sociale. Solo il 34% del campione ha dichiarato di aver agito di fronte a episodi di violenza, mentre la maggioranza, il 57%, afferma di non aver mai assistito o saputo di casi simili. Questa bassa propensione ad agire cala ulteriormente con l’avanzare dell’età, passando dal 50% dei giovani della Gen Z al 25% dei Boomers. Un dato che solleva interrogativi sulla capacità collettiva di riconoscere il fenomeno. Questa tendenza a non agire diminuisce con l’avanzare dell’età, passando dalla metà dei giovani a un quarto tra i più maturi. L’esposizione sociale favorisce il riconoscimento: le donne con disabilità o con orientamenti sessuali diversi mostrano una maggiore consapevolezza, così come le persone occupate. Questo suggerisce che la visibilità del fenomeno dipende anche dal contesto in cui si vive e si lavora.
La normalizzazione dell’inaccettabile
Una porzione significativa della popolazione continua a legittimare comportamenti violenti. Un quinto del campione (20%) giustifica il controllo sulla partner, in particolare in caso di tradimento (11%) o di mancata cura della casa e dei figli (9%). La violenza verbale è ritenuta accettabile dal 26%, e viene rifiutata in modo assoluto solo dal 72%. Sebbene la violenza fisica sia respinta dall’82%, un 13% continua a giustificarla, con picchi tra gli uomini giovani. Anche la violenza economica (26,7%) e psicologica (22%) mostrano forti sacche di legittimazione, più diffuse tra gli uomini occupati e le generazioni più giovani. Tra le persone con disabilità questa tendenza alla giustificazione risulta ancora più elevata (fino al 12% per la violenza fisica e al 34,7% per quella psicologica), indicando una pericolosa normalizzazione dell’abuso in condizioni di maggiore vulnerabilità.
Un museo per cambiare il futuro
Alla luce di questi dati, il Mupa si configura come strumento educativo che attraverso il linguaggio, l’emozione e l’immersione narrativa mira a scardinare convinzioni profonde. Aprire le porte di questo museo significa riconoscere che il patriarcato non appartiene a un passato remoto ma condiziona ancora fortemente il presente. E che per archiviarlo definitivamente serve uno sforzo collettivo che coinvolga istituzioni, scuole, famiglie e singoli individui. Il museo resterà aperto dal 20 al 25 novembre presso lo Spazio AlbumArte in via Flaminia 122 a Roma. Un’opportunità per interrogarsi, riconoscere e iniziare quel cambiamento profondo che può trasformare le disuguaglianze di genere da realtà quotidiana a reperto museale.
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